POST
GENERATION – Control – Z Luminol
Records Genere: Post Prog Moderno Supporto: File Audio – 2022
I
Post Generation nascono come progetto collaterale del bassista dei Diaries Of A
Hero, Matteo Bevilacqua, nel 2014. Rispetto la band madre, con esso Matteo si
distanzia un poco dal mondo del Metal avvicinandosi a un sound più psichedelico
e ricercato come quello dei maestri Porcupine Tree, Anathema, Opeth e così via. Con
lui alla voce e chitarra, suonano Carlo Peluso (tastiere), Antonio Marincola
(basso), Christoph Stahl (batteria), Paolo Rigotto (batteria e mixer) e
Michaela Senetta (voce). Paolo Rigotto non è di certo un nome nuovo per gli
ascoltatori di un certo tipo di Pop Elettronico. Sono
serviti sette anni per realizzare “Control-Z”, album concept riguardante lo
stato mentale del genere umano bene descritto già dall’artwork per opera del londinese
Juan Blanco. Siamo una comunità di zombie, pilotati dalla sofferenza e dalla
paura. Il concetto è spalmato su dodici brani per quasi un’ora di musica, a
iniziare da “This Is My Day”. Il pezzo è molto curato e bene arrangiato, specialmente
sulle partiture vocali e corali, i cambi umorali sono come il genere esige,
presenti e numerosi. Possono venire in menta durante l’ascolto anche certi
Fates Warning o Enchant. Bello l’assolo di chitarra e l’accompagnamento con il
clarinetto. “About
Last Night” ha un giro centrale di chitarra di chiara matrice Opeth, quelli più
acustici, e conduce l’ascoltatore in ambienti leggermente malinconici ma dall’anima
pulsante. Divertimento e ariosità fanno comunque di tanto in tanto capolino e
coinvolgono a pieno. Qui la band dimostra di avere una vasta cultura al
riguardo del genere proposto. “You’re Next In Line” si apre con un pianoforte
sopra un tema onirico successivamente sempre dominato dalle tastiere di Peluso
che donano all’insieme l’impronta del Progressive Rock. Curata la parte vocale
che ha il merito di non strafare mai, piuttosto concentrata nella parte
interpretativa più che quella tecnica, così gradevole è la voce di Senetta.
Questo brano potrebbe benissimo risiedere nella discografia dei polacchi
Riverside, ma improvvisamente anche in quella degli Spock’s Beard. “What’s The
Worry” spalanca le ante della mente e si intromette al suo interno di certo
senza non lasciare segni. Molti anni ’70 e ancora una volta validissimi
arrangiamenti, come sapevano fare i Porcupine Tree della metà carriera. “The
Cat And The Chicken” è una passeggiata nella follia, sempre se si è aperti di
mente e quindi pronti ad affrontarla, mentre il ritmo sale. “White Lights And
Darkest Patterns” è uno dei miei movimenti preferiti dell’intero album, sia perché
in me ricordano i migliori Porcupine Tree che i Radiohead, oltre che essere ricco
di sorprese che lascio a voi scoprire. “Could It Be You” ha il ruolo di riscaldare
il cuore, e successivamente è la volta della title track “Control – Z” qui
veramente molto materiale in esame e un viaggio a ritroso nel tempo nella
discografia sempre di Wilson & company. I Post Generation non si
risparmiano, ricercando sempre melodie accattivanti ma allo stesso momento
raffinate. “Nathalie” è maggiormente vicina alla formula canzone ed è bene
interpretata ancora una volta dalla bella voce di Michaela Senetta. Ancora
Porcupine Tree con “This Cannot Work”, qui in maniera decisamente più marcata.
Un breve passaggio acustico in “Raising The Bar”, piccola gemma sonora, per poi
giungere alla conclusiva “Unforgotten Wasteland”, e qui siamo su livelli molto
elevati. Nulla
di scontato nella musica dei Post Generation, tutto molto curato e ponderato,
specialmente riguardo le coralità, tuttavia il risultato non risulta freddo ma
contrariamente a come ci si potrebbe attendere decisamente caldo e
coinvolgente. Un nome da appuntarsi e seguire con attenzione in futuro, sono
sicuro che il mio fiuto non sbagli, è l’inizio, e ne ascolteremo ancora delle
belle! MS.
MELANIE
MAU & MARTIN SCHNELLA – Invoke The Ghosts Autoproduzione Genere: Acustic Folk / Progressive Rock Supporto: cd – 2022
Quante
volte nella vita c’è capitato di evocare fantasmi, ossia ricordare il passato a
volte con nostalgia e in altri casi con un velato timore. Sono sensazioni molto
potenti che ci fanno sentire vivi, il sentimento, la paura, la mancanza di un
caro l’amore, avvenimenti che tuttavia fanno del nostro percorso terreno un
vero e proprio bagaglio d’esperienza. La musica non è altro che un
amplificatore di queste sensazioni, se vogliamo anche attraverso i testi che
possono divenire una vera e propria valvola di sfogo. “Invoke The Ghosts” attraverso
le parole, racconta storie che riguardano proprio il nostro quotidiano essere. Prima
di entrare a parlare della musica di questo nuovo disco di Melanie Mau &
Martin Schnella (il secondo con brani propri tralasciando gli album cover),
vorrei soffermarmi sul grande sforzo creativo riversato sulla confezione, essa
si presenta cartonata, apribile in due parti con foto di Bodo Kubatzki, disegni
splendidi per opera di Isa Hausa Illustrations, pitture di Anish Jewel Mau con
la supervisione di Martin Huch e poi testi e credits dettagliati. Quando un
prodotto è così curato, è giusto presentare i suoi autori, specialmente poi se
stiamo trattando un’autoproduzione. Davvero complimenti. La
band è composta da Melanie Mau (voce), Martin Schnella (chitarre, voce), Mathias
Ruck (voce), Lars
Lehmann (basso), e Simon Schröder (percussioni, batteria, voce). Tre gli
special guest chiamati a impreziosire l’album, Jens Kommnick (fiati,
violoncello, strumenti celtici, chitarra acustica, voce), Siobhán
Kennedy (voce) e Steve Unruh (violino). Come
avrete già avuto modo di intuire leggendo i partecipanti, la voce è un punto focale
per la musica del duo tedesco, vocalità anche a cappella sono uno dei punti
forti dell’intero lavoro. Musica Folk a tratti celtica si va a sposare anche
con il mondo del Metal Prog inteso non come suono elettrico distorto bensì come
intensità, infatti l’innesto di Simon Schröder apporta al sound un indurimento
rispetto i canoni sonori del passato. Tuttavia le ballate sono la prevalenza,
così il Folk e il Progressive Rock, infatti l’esperienza di Schnella lo porta
negli anni ad ascoltare un ampio spettro di musica, ne abbiamo avuto prova
negli album di cover “Live In Concert” (2017) “Pieces To Remember” (2018) e “Through
The Decades”. Dieci nuove composizioni a iniziare da “Nur
Ein Spiel” brano cantato in lingua madre. E la storia si palesa immediatamente
avanti a noi grazie ai cori in classico stile Gentle Giant. La voce vigorosa di
Melanie è sempre gradevole, mentre ci sembra di ascoltare un brano acustico dei
Blind Guardian. Ritorno
al classico inglese per “The Beast Is Lurking” dove ho parvenze sonore The
Ghatering, in cui l’incedere vivace e insistente conduce verso un Hard Prog
influenzato dal Folk, qui addirittura fa capolino una parte vocale in Growl. In “Solumate” si espongono strumenti a fiato,
violino, coralità, un ampio spettro sonoro che riempie la mente durante
l’ascolto, decisamente consigliato in cuffia. Un
dolce arpeggio di chitarra inizia “Where’s My Name”, questo è il territorio
dove il duo sa dare il meglio di se, un mondo fatto di dolcezza e melodie in
una ballata curata e ricca di sentimento. A metà il brano si lancia in una
parte percussionistica accompagnata sempre dalla chitarra e dal whistle in cui
fanno capolino anche i primi Spock’s Beard, questo per chi dovesse conoscerli
approfonditamente. “Of Witches And A Pure Heart” è un movimento decisamente
Prog e anche il più lungo del disco grazie ai suoi quasi dieci minuti. Tanta la
carne al fuoco, ma non si brucia, l’alternanza dei ritmi garantiscono una
freschezza all’ascolto davvero scorrevole. Il fil rouge è comunque e sempre resta
il Folk. Martin Schnella si dimostra un bravissimo chitarrista e compositore,
ascoltare “Calypso” per entrare nel concetto. Qui l’andamento si dimostra
“Metallico” malgrado non siano presenti le classiche chitarre distorte. “Red Beard”
procede il cammino sulla stessa lunghezza d’onda mentre con “Ein Stummer Schrei”
e “Das Goldene Königreich (The Virgin Queen) ” si ritorna al cantato in lingua
madre. “Ein Stummer Schrei” ha un intro di matrice classicheggiante, una
ballata che sfocia in un assolo di chitarra elettrica dall’ampio respiro,
sempre dall’impatto emotivo elevato. “Das Goldene Königreich (The Virgin Queen)
” è un'altra mini suite di nove minuti in cui l’andamento ripercorre le orme
del suo precessore. Bellissima “Wholeheartedly” che chiude l’ascolto con voci a
cappella come nell’inizio, una composizione di Melanie che sembra provenire da
un tradizionale. “Invoke
The Ghosts “ è quindi un disco curato in ogni particolare, la bellezza della
musica risiede anche nella propria totalità, dall’abito al corpo passando
direttamente attraverso l’anima, se a tutto questo si aggiungono esperienza e
cultura allora il risultato positivo è garantito. Molto consigliato, ma molto,
molto. MS
SAMMARY
– Monochrome Progressive
Promotion Records Genere:
Post Prog Moderno Supporto: cd – 2022
Mi
sono reso conto con il passare degli anni di essere un critico musicale
anomalo, un onnivoro vorace ma che allo stesso tempo sa scegliere cosa
mangiare. Non mi sono fermato con il gusto a un cibo in particolare, ho amato
sempre ogni periodo del Rock. Certo che se vogliamo dire qual è stato il
momento migliore per idee e fertilità con certezza trattasi dello spicchio decennale
che va dal 1965 al 1975, ma a seguire c’è stato sempre un qualcosa di buono, d’innovativo.
L’evoluzione va avanti anche senza di noi, è nella natura delle cose. La musica
rappresenta sempre la società del momento, insomma se ne potrebbero dire davvero
tante al riguardo, ma lasciatemi affermare che oggi amo da morire il Post Prog
Moderno. Per capire dettagliatamente cosa è il Post Prog Moderno vi rimando fra
pochi mesi in libreria perché ne ho scritta la storia, intanto per abbreviare
il concetto vi dico che è un paletto che mette le distanze fra il Progressive
Rock degli anni ’70 e quello attuale, maggiormente psichedelico a tratti etereo
e in altri metallico. Questa frantumazione definitiva del Classic Prog parte
dai Radiohead e di cose ne sono successe dopo gli anni ’90. I
Sammary sono figli di questi tempi, sound moderno alla Pure Reason Revolution,
Anathema e Within Temptation ma con influenze del passato con echi di Pink Floyd,
Abba e molto altro ancora. Sammary
è il progetto del polistrumentista e cantautore Sammy Wahlandt in collaborazione
con la cantante Stella Inderwiesen. Assieme a loro Marie Stenger (voce),
Larissa Pipertizis (voce) ed Elena Pitsikaki (Kanun). “Monochrome” è il debutto
discografico che si apre con la psichedelia di “ Black And White”, un crescendo
roboante di suoni e sensazioni oniriche che fanno da preludio a “Soft”. Qui il
Metal aggredisce l’ascoltatore sino al sopraggiungere della voce di Stella che
fa da paciere. Aperture spaziali fanno del ritornello un punto di forza. Molti
i cambi d’umore che sono anche questi parte del DNA del genere, altrimenti il
termine Prog non avrebbe qui il senso di esistere. Un piano a effetto apre
“218”, l’artwork che accompagna il disco ben rappresenta le atmosfere eseguite,
un velo di grigia malinconia aleggia sempre sopra di ogni nota. Il suono duro
delle chitarre qui è semplicemente una parentesi d’accompagnamento. Le tastiere
che occupano il posto degli archi ben supportano l’incedere sonoro. Sentita l’interpretazione
della giovane Stella durante la ballata “A Kiss Without A Meaning”, un altro
motivo in cui l’apertura a metà brano porta a volare alto con la fantasia.
Massiccia “219”, tuttavia maggiormente vicina alla classica formula canzone.
Elettronica fa capolino all’inizio di “Sweet Affliction”, qui sento anche
influenze anni ’80 derivanti dalla New Wave, il tutto rivisitato in chiave
decisamente moderna. Ancora una volta la voce è protagonista. Arpeggi
di chitarra per “Open”, un motivo di riflessione e di ascolto a occhi chiusi
che lasciano soltanto successivamente strada ad aperture sempre dall’ampio
spettro. Territorio Anathema? In alcuni casi si. “220” è lieve, ancora una
volta dipinge una tela dallo sfondo grigio ma questa volta a pastello. Bene “Killing
Another Person”, gradevole canzone di facile assimilazione. Ancora elettronica
per “Monochrome” che potremmo definire il suggello del disco poiché “Epilogue”
non è altro che un breve strumentale di tastiere a concludere. Ragazzi,
questo è Post Progressive Moderno, come detto ne sentiremo parlare più
approfonditamente nel tempo, intanto complimenti al progetto Sammary, adatto a
un pubblico che non disdegna il sound Metal con annesse dolci melodie e una
voce sopra le righe. MS
ANIMS
– God Is A Witness Burning
Music / Atomic Stuff / Sneakout Records Genere:
Hard Rock Supporto:
cd – 2021
Esistono
stereotipi che sono radicati nel tempo, ma non sempre hanno giusta causa. Molti
sono i casi in cui vengono scambiati per “l’eccezione che conferma la regola”,
questo è un superficiale errore. Nella musica ne incontriamo a centinaia, ad
esempio si dice che l’Hard Rock è un genere per un pubblico di sballati, o
perlomeno di personaggi poco raccomandabili, grezzi e chissà quanti altri aggettivi
si saranno letti negli anni in ogni dove. Vogliamo poi aggiungere che il genere
in teoria dalla nascita avrebbe dovuto avere i mesi contati? Nulla di più
sbagliato, da Hendrix a oggi l’Hard Rock è vivo e vegeto anche qui in Italia e
non ci crederete mai, ma c’è chi lo suona anche con classe ed eleganza. Vi
dimostro uno di questi casi, e non poteva che essere un disco composto e
suonato da un veterano con spalle un’esperienza invidiabile: Francesco Di
Nicola. Il chitarrista bolognese degli storici Danger Zone e Crying Steel si
cimenta in questo nuovo progetto intitolato Anims, con lui suonano Elio Caia
(basso), Diego Emiliani (batteria), e al microfono la cantante Elle Noi. Luca
Bonzagni sempre dei Crying Steel ha contribuito inizialmente alla stesura
dell’album nelle parti vocali, ma per motivi personali ha dovuto abbandonare la
causa. I
dieci brani contenuti nell’album in realtà sono editi e autoprodotti in digitale
già nell’agosto del 2021, solo oggi grazie al buon fiuto della Burning Music li
possiamo godere oggi anche in versione ottica in formato CD. La
title track che apre anche il disco dimostra tutta la competenza e la cultura
della band al riguardo, ritagliando alla voce un ruolo non proprio
convenzionale per l’Hard Rock, si denota una certa ricerca nell’esibizione. “God
Is A Witness” è dunque un granitico mid tempo dove la ritmica risulta rodata e
precisa, mentre il motivo potrebbe far venire alla mente un nome importante:
Saxon. Scivolano le chitarre nell’intro di “Freedom” preparando il terreno a un
classico dell’Hard Rock, dove la buona melodia s’immette nella distorsione che
fa da sfondo alla voce di Elle, solo a tratti spezzata da veloci e brevi assolo
di Francesco. In “Around Me” tanta storia e sensualità mentre “Live For
Somebody” all’inizio avvolge con il suo arpeggio iniziale e la voce sostenuta.
Le atmosfere si fanno più dense e ricercate, un brano davvero intrigante fra i
miei preferiti dell’intero album. Si ritorna a ruggire attraverso “Boring
Lovers”, uno dei movimenti più veloci dove la semplicità la fa da padrona,
anche grazie a rullate esibite con maestria e sicurezza. La bellezza della voce
di Elle risiede nella volontà di non strafare, anche se a tratti si permette di
scalare buone vette. “Bright Eyes” ha un titolo importante e si dimostra un
altro classico del genere. “Look Who’s Back” lancia ancora la chitarra in
funambolici passaggi sempre in un contesto classico del genere. Mi piace la
ricerca ritmica di “The Dangers”, un motivo articolato ma molto melodico, quasi
Hard Prog. “He Says” mette in cattedra le capacità balistiche della band, una
vetrina dell’esperienza citata, altro frangente elevato del disco. “Like
Colours Of Flowers” ha l’onere di concludere con vigore e pesantezza. Nulla
di trascendentale, “God Is A Witness” non ha nessuna pretesa di cambiare chissà
quali regole, piuttosto bada al sodo attraverso buone canzoni registrate con
professionalità da professionisti veri dello strumento e del genere, di questi
tempi credetemi è cosa ben rara. Gli Anims ci lasciano un debutto piacevole da
cantare con loro e godere, perché no, anche nello stereo della macchina in un
bel viaggio sull’autostrada, musica per ogni palato e per ogni luogo. Immagino
sicuramente coinvolgenti in sede live. Godi popolo. MS
PROJECT:
PATCHWORK – Ultima Ratio Progressive
Promotion Records Distribuzione: G. T. Music Genere: Progressive Rock/Metal Supporto: cd – 2022
Negli
anni abbiamo imparato ad apprezzare la musica Progressive Rock proveniente
dalla Germania. La nazione è sempre stata storicamente vivace nell’ambito,
molte le band che hanno dato il proprio contributo alla causa iniziando proprio
dagli anni ’70. Vogliamo poi parlare del Krautrock? Anche nei tempi moderni le
realizzazioni si susseguono con intensità e qualità, soprattutto in un
rispettoso equilibrio fra passato e presente. Chi ad esempio non dovesse
conoscere gruppi come Seven Steps To The Green Door, Flaming Row, RPWL solo per
fare tre nomi a caso, potrebbero dare loro un ascolto. Uno
degli esponenti più interessanti del circuito Prog tedesco è sicuramente Gerd
Albers (Groovefabrik), polistrumentista amante delle grandi collaborazioni
autore del fortunato Project: Patchwork. Come accade per Arjen Lucassen negli
Ayreon, anche per Albers la lista dei partecipanti che ruotano di volta in
volta attorno alla musica è davvero nutrita. In questo terzo album in studio
intitolato “Ultima Ratio” questi sono i nomi di alcuni dei partecipanti alle
strumentazioni: Lars Köhler (voce), Arno Menses (voce), Miriam Kraft (voce),
Olaf Kobbe(voce), Anne Trautmann (voce),
Jean Pageau (voce, flauto), Matthias Bangert (basso), Johannes Pott (batteria),
Marek Arnold (tastiere), Daniel Eggenberger (tastiere), Volker Wichmann (tastiere),
Ben Azar (chitarre), Peter Koll (chitarra), Martin Schnella (chitarre), e Marco
Wriedt (chitarre). Il
libretto interno che accompagna il formato cd dell’edizione cartonata, oramai caratteristica
della Progressive Promotion Records, include un’interessante e approfondita
descrizione del tema sulla pandemia che stiamo vivendo in questo periodo.
L’artista non vuole dare regole precise o dettare sentenze categoriche, bensì intende
narrare le effettive difficoltà in cui la società è caduta nel corso diqueste restrizioni, che ci hanno privato di
molte attività quotidiane. La vita che stiamo vivendo è quindi esaminata in
questo corposo artwork. Nove le tracce a iniziare dall’immancabile intro qui
intitolato “Ultima Ratio Pt.1 – Prologue”. L’imponenza delle tastiere presenta
al meglio il genere Progressive Rock e precisamente quello sinfonico, lo
strumentale ha un fascino tipicamente moderno, infarcito solamente in maniera
misurata dalle chitarre Heavy. La batteria con ogni rullataevidenzia i passaggi che soltanto alla fine
lasciano spazio alle chitarre acustiche, ed è la volta di “New Normality”,
legata all’intro e cantata in inglese. Qui è trattata la “nuova” normalità
quotidiana, mentre la musica è un mix fra Ayreon e Porcupine Tree, questo per
gli amanti dei suddetti gruppi. La
canzone è strutturata sia per la formula canzone classica che per l’immancabile
cambio di ritmo come esige il Progressive Rock. “Weeks Of Sorrow” è il brano
più diretto dell’intero album con un ritornello interessante e un andamento
tipicamente variegato, molti i deja vu durante l’ascolto e il riff che lo
accompagna è davvero indovinato. Atmosfere graffianti si alternano a frangenti maggiormente
pacati e il risultato è davvero di appagamento. Ancora una volta attaccata come
in una suite giunge “Code Red” aperta dalla bella voce di Miriam Kraft, una
semi ballata dal sapore Folk fra le mie preferite di “Ultima Ratio”. Due minuti
e mezzo di chitarre acustiche ed elettriche in “Hope”, composizione che lascia
spazio a voli pindarici in cielo aperto, quando la musica riesce alla perfezione
a sostituire le parole, questo è il risultato. Terminato il movimento parte
immediatamente “Dead-End Street”, tanta materia all’interno, vibrazioni
elettriche, enfasi e armonie delicate compongono il DNA del pezzo. “Depressed
Sentiments” è nomen omen e gioca molto su gradevoli coralità, mentre è presente
anche una mini suite intitolata “Keepers Of The Fire della durata di quasi
tredici minuti. Tutte le capacità compositive di Albers si evidenziano nel
corso del brano, anche la cultura musicale che palesa un attento ascolto negli
anni di buona musica. Il disco come si è aperto si chiude con “Ultima Ratio
Pt.II – Epilogue” e l’opera è conclusa. Vorrei
terminare questa recensione con una analisi dell’ultimo periodo musicale nel
quale ci siamo immersi, la qualità si è elevata a tutti i livelli e generi. La
pandemia ha forse dato la possibilità agli artisti di sedersi e riflettere
maggiormente lasciando così spazio alla fantasia e alla voglia di esternare
tutto il loro essere, Project: Patchwork non esula da questo mio pensiero.
Un'altra chiave di lettura potrebbe essere che abbiamo avuto anche più tempo
per tutti noi di ascoltare, leggere, informarci, tutto questo grazie ad
internet che riporta il mondo in casa, facendo si che la contaminazione e la
cultura aumenti l’asta della cultura personale. “Ultima
Ratio” è un bel disco, registrato a dovere, un ulteriore finestra sul
Progressive Rock che sta mutando nella normale evoluzione delle cose, così come
deve essere ma sempre con il rispetto del passato. MS