Pagine

sabato 12 febbraio 2022

Jethro Tull

JETHRO TULL - The Zealot Gene
Inside Out Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2022




Parlare di un nuovo album dei Jethro Tull nel 2022 è un grande piacere, quando una band è così longeva, ci sarà un perché, e il perché ha un nome e cognome, Ian Anderson. Il folletto del Rock è un personaggio noto a tutti, la storia del genere è colma di suoi capolavori. Si è sempre saputo circondare di numerosissimi musicisti, il suo forte carattere l’ha portato in continuo a circondarsi di nuove energie e molto spesso il sound ne ha ricavato giovamento.
Non starò qui a decantare l’annosa carriera iniziata in quel 1968 con il fortunato debutto di “This Was” e neppure a presentare i noti problemi vocali capitati ad Anderson negli ultimi anni di carriera. I Jethro Tull hanno paventato la fine della loro avventura numerosissime volte, ma evidentemente il flautista magico ha sempre avuto energie nascoste da tirare fuori al momento opportuno. Non si può vivere a lungo senza musica se la si ama in maniera viscerale e su questo, tutti gli artisti credo possano darmene ragione. Passano momenti meno ispirati, depressioni, ma quando la vena artistica rifà capolino, ecco lo stimolo giusto per proseguire il proprio cammino. Pensate che Ian Anderson non ha più rilasciato un album a nome Jethro Tull dal 2003, con “The Jethro Tull Christmas Album”, questo per sottolineare la caparbietà del personaggio in questione. In realtà in tutti questi anni non è mai stato fermo, fra concerti e partecipazioni varie, tuttavia l’ufficialità di un nuovo disco giunge soltanto con questo “The Zealot Gene”.
Le canzoni sono scritte nell’arco che varia da 2017 al 2021. Quello che balza subito all’occhio leggendo i credit del disco e anche all’orecchio, è la mancanza del fido chitarrista Martin Barre, che ha collaborato con la band per più di trenta anni dal 1968. Un vero peccato perché la sua chitarra ha dato sempre una spinta di energia ulteriore ai brani grazie alla tecnica e al groove che si sono formati negli anni. E qui cade l’asino, perché quello che si evince all’ascolto dei dodici brani che compongono l’album, è proprio la mancanza di una band vera e propria alle spalle. Il nome Jethro Tull e la casa discografica importante come la Inside Out potrebbe far pensare a una operazione semplicemente commerciale, perché in realtà “The Zealot Gene” sembra proprio un disco solista di Anderson, la copertina con il suo volto potrebbe confermare il mio pensiero, in realtà dopo ripetuti ascolti tutto assume una valenza differente dal primo e affrettato giudizio. Non si può nascondere la bravura compositiva di Ian che è nota a tutti, e qui c’è la chiave che porta a farmi dire che questo nuovo album non è da sottovalutare e neppure da scartare perché la genialità risiede nel non farsi il verso addosso, ossia di cercare di camminare sulle proprie orme del passato, bensì di apportare uno stile sicuramente aggiornato con i tempi. E’ anche vero che negli ultimi decenni i Jethro Tull non hanno più rilasciato dischi di grande valore o perlomeno all’altezza di capolavori quali “Aqualung”, “This As A Brick” solo per fare due nomi, però se la sono sempre cavata con dignità. La capacità di Anderson di adeguarsi ai tempi è straordinaria, l’ha sempre fatto e ha sempre avuto ragione. Cambiamenti si, ma il flauto a fare da accompagnatore al pezzo c’è sempre ed è marchio di fabbrica inconfondibile non soltanto dei Jethro Tull ma di un intero genere musicale. Non ci sono più gli assolo importanti di una volta, non c’è più la voce, ma avere settantaquattro anni e fare ancora questa musica, lasciatemelo dire è solo prerogativa dei grandi.
Come sono le canzoni? Posso definirle medie, senza infamia e senza lode, fra alti e bassi per un risultato di giudizio finale a mio modo di ascoltare relegato alla sufficienza abbondante. Il singolo “Shoshana Sleeping” è accattivante e tutto il resto è gradevole anche per un sottofondo musicale per spicciare sia faccende in casa sia in un viaggio automobilistico da affrontare, questo per dire che non serve una particolare attenzione nell’ascolto, tutto è molto semplice. Ribadisco che se Anderson si fosse circondato in questi ultimi anni di una vera e propria band, probabilmente tutte queste canzoni avrebbero avuto una spinta e una riuscita maggiore. Ma va bene anche così. Ora spero soltanto che abbia rotto il fiato per ritornare a scrivere altri album senza aspettare troppo tempo, so bene che il genio folletto che suona su una sola gamba ha nel suo cervello tanta musica e io non mi stanco mai di ascoltarla.  

Ian Anderson è il re del Progressive Rock Folk, lunga vita al re. MS






Nessun commento:

Posta un commento