Vi aspetto sabato 9 Novembre alle ore 17.00 a Fabriano nella Biblioteca Multimediale. Vi parlo del piano dell'opera "METAL PROGRESSIVE ITALIANO Ed I Fondamentali Stranieri" (Arcana), oltre che di storia del Rock e dell'Heavy Metal.
Per chi desiderasse ci saranno anche copie del mio libro vincitore del premio "Macchia Da Scrivere 2018" come migliore enciclopedia musicale dell'anno ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 - 2013
Come
ben sintetizza la foto centrale del libretto che accompagna il nuovo disco di
Franck Carducci “The Answer” ritraente l’artista con la clessidra in mano, il
tempo passa velocemente. Sembra ieri che ascoltavo per la prima volta il
chitarrista polistrumentista francese nel buon debutto di “Oddity” del 2011, e
anche nel successivo “Torn Apart”del
2014, dove ho trovato miglioramenti e maturazione artistica.
Il
tempo vola dicevo, sono passati quasi cinque anni per giungere al nuovo album,
ma la riflessione che mi sorge spontanea è che tuttavia la musica resta
immortale.
Carducci
ha nuove storie da raccontare, e le registra in sei nuove tracce, mentre nel
disco si trovano in aggiunta due bonus track, una live intitolata “On The Road
To Nowhere” e “Beautiful Night”, poi ancora in aggiunta due versioni radio di
“(Love Is) The Answer” e “Slave To Rock’n’Roll” i pezzi da spingere dell’album.
Ed
è proprio con “(Love Is) The Answer” che si inizia, con le tastiere, gli
effetti e un riff di chitarra acustica. Il brano è altamente Prog grazie alle
tastiere Hammond e Mellotron di Oliver Castan, mentre alla batteria c’è
Antonino Reina, Christophe Obadia ai cori, Carducci al basso, chitarre e voci e
Steve Marsala, Mary Reynaud, Sandra Reina e Amelynn Vecchi ai cori. Un
equilibrio fra Neo Prog e stile anni ’70 caro in primis ai Genesis e agli Yes che
lascia spazio alla magniloquenza del suono. “Slave To Rock’N’Roll” è più
elettrica e l’incedere iniziale mi ricorda molto la qualità dei Saxon, semplici
e diretti. Ovviamente non siamo a livelli dell’Heavy Metal, ma traspare questa
aria che rimanda agli anni ’80, mentre il ritornello si affaccia verso l’AOR.
Trascinante l’assolo di chitarra.
“Superstar”
è una mini suite di dodici minuti, qui l’artista mette in mostra tutte le sue
capacità compositive, e ritorna il Progressive Rock con i cambi di tempo. La
musica di Carducci prende per impeto emotivo e lascia il segno, gioca molto sui
momenti orecchiabili da stamparsi nella mente e il tutto funziona. L’esperienza
accresciuta grazie anche ai concerti dal vivo negli anni porta a questo
risultato. Fra Pendragon e Genesis.
Un
altro brano di media lunga durata è “The After Effect” di dieci minuti. La
fantasia nella musica è un elemento importante, bisogna saperla dosare al
momento giusto ed in maniera assolutamente personale, questo fattore o lo si ha
o non lo si ha, non si improvvisa. Ogni canzone dell’album quindi è
completamente differente, questo è un grande pregio perché il tutto scorre in
maniera leggera e piacevole.
Ritorna
la formula canzone con “The Game Of Life”, voce e piano dialogano fra melodie
dolci e introspettive. Il pezzo è impreziosito dalla tromba di Thierry Seneau.
A seguire un'altra mini suite di undici minuti, “Asylum”. Ottimo l’intro con
ritmiche sospese e un assolo di chitarra, tutto questo porta a un crescendo
sonoro importante, un modo di fare che cattura e funziona sempre. Il brano
bonus live a cui facevo riferimento in apertura è acustico, mentre “A Beautiful
Night” è una piccola gemma che per fortuna è stata inclusa nell’album.
Franck
Carducci si da una risposta (come intitola l’album stesso), ma spero che quella
più grande arrivi dal pubblico perché l’album merita veramente tutta la vostra
attenzione.
Tornano
i polacchi Retrospective con Latent Avidity”, ultimo sforzo creativo da studio,
il quinto. La band oramai si è consolidata su certe atmosfere Metal Prog a
tratti malinconiche e sempre colme di ottime melodie.
Bene
rappresenta il contenuto sonoro la splendida cover diDimitra Papadimitriou che mi fa tornare alla
mente quella dei thrasher svizzeri Coroner di “No More Color”, anche se
ovviamente i stili musicali sono completamente differenti. Qui il lavoro
“progressivo” del gruppo prosegue imperterrito, sino a raggiungere un risultato
che sicuramente farà l’interesse dei fans di Anathema (quelli di “Alternative
4”), dei Riverside, Tool e Pain Of Salvation su tutti. Otto brani contenuti
nell’album, anche se il primo è un brevissimo intro intitolato “Time”. Il
gruppo ancora oggi è composto da Jakub Roszak (voce), Beata Lagoda (tastiere,
voce), Maciej Klimek (chitarra), Luzask Marszalek (basso) e Robert Kusik
(batteria).
Subito
positivo l’impatto con “Still There”, vero e proprio singolo che ti fa
innamorare del genere al primo ascolto. Etereo nelle chitarre, bene
interpretato dalla voce pulita ed impostata di Jakub che in questo caso mi fa
tornare alla mente quella di Geoff Tate dei Queensryche, ma quelli più pacati.
Tutti
i brani sono di media o lunga durata, comunque sempre superiori ai cinque
minuti, così “Loneliness” non esula dalla media. Qui è Beata che canta, una
voce gradevole e mai dedita ad inutili grida che tanto sembrano andare di moda
oggi. Un velo gotico avvolge il brano mentre le tastiere ripetono una sorta di
loop che potrebbe benissimo uscire da canzoni New Wave. Più insistenze in
ambito Metal nell’incedere del riff risulta “The Seed Has Been Sown”, brano di
spiccata personalità malgrado alcuni piccolissimi deja vu dovuti probabilmente
ad ascolti Riverside.
Splendido
il finale della canzone con un gradevole assolo di chitarra.
I
toni diventano introspettivi in “Stop For A While”, apre piano e voce per poi
evolversi in una gotica semi-ballata. Toccante il cantato maschile e femminile,
formula rodata e sempre funzionale. Un momento solare nel disco giunge da “In
The Middle Of The Forest”, canzone che comunquerispecchia tutti i canoni caratteriali della band polacca, così la
successiva “Programmed Fear” fra Paradise Lost più recenti e Lacuna Coil.
Il
disco si conclude con il brano più lungo, superati i dieci minuti in “What Will
Be Next?” e per i gusti musicali del sottoscritto è sicuramente il momento più
bello, anche per gli arrangiamenti oltre che per abbondanza di materiale.
Diciamo che si accosta di più al Progressive Rock.
La
musica dei Retrospective bada al sodo, diretta al cuore senza strafare giocando
su giri armonici gradevoli che faranno avvicinare molti di voi sia alla band
che al genere se sconosciuti. Gran bel disco, la band è in un momento di grazia
compositiva, approfittiamone. MS
Sono
sempre stato un ammiratore di chi produce oggi musica non convenzionale e
completamente strumentale. La scelta è coraggiosa e non sempre va incontro
all’ascoltatore medio moderno. Mi dispiace per lui, ma io cerco dalla musica
qualcosa che sappia farmi pensare ed ascoltare, dove non arrivano le parole li
inizia la musica.
Lancio
vinilico per la band marchigiana Metronhomme (Macerata) che si forma nel 2003,
“4” è il quarto lavoro dopo “L’ultimo Canto Di Orfeo” (2005), “Neve” (2008) e “Bar
Panopticon” (2010). Il bel disegno della copertina è ad opera di Tommaso Gomez.
La musica proposta viaggia senza etichette particolari, ma se dobbiamo
necessariamente farlo, possiamo racchiuderli tranquillamente nel Progressive
Rock quello di stampo Psichedelico.
“4”
è formato da undici tracce. La prima comunicazione che mi giunge all’ascolto
del disco è l’amore per i Porcupine Tree primo periodo, buoni interventi di
chitarra su basi spesso eteree e ben arrangiate dalle tastiere di Tommaso
Lambertucci. La band viene completata da Mirco Galli (basso), Andrea Lazzaro
Ghezzi (batteria), Marco Poloni (chitarre) e Paolo Scapellato.
“I
Treni Di Gabo” sono l’immediato biglietto da visita della band. Forza e
sensibilità in un unico guscio, così la successiva “L’uomo Ombra” lascia
spaziare la mente in percorsi aurei e allo stesso tempo solidi. Un mix che solo
la musica riesce a spiegare. Più dolce “Chiuso Per Gatti” con il contrabbasso
dell’ospite Manuele Marani.
Ritmica
perfetta e tante buone idee comunque legate sempre alla formula canzone.
Cambi
di tempo in “Blow Up Automatic Chiodi” una delle canzoni più Progressive
dell’album. A seguire la breve “R.I.P. Brian Diy (Get Rid Of The Bishop)”
esposta su scale armoniche ripetute ed ipnotiche. Tuttavia aleggia anche una
certa componente Jazzy. I mondi fantastici dei Metronhomme sono tutti
incastonati in questi tasselli sonori che compongono il puzzle di “4” e
“Quattro Pesci Rossi” mostra un altro volto, sempre pacato e Psichedelico,
questa volta anche più rassicurante nella melodia centrale.
Si
passa al lato B del vinile che si apre con “Ortega”, stilisticamente ineccepibile
e aperta al mondo Prog e anche a quello dei nostrani Goblin. Il gruppo gode di
buona personalità, le influenze citate sono perlopiù indicative per chi sta
leggendo, perché la musica proposta ha il suo bel carattere definito.
“Salt”
dimostra quanto detto, seppure nella sua semplicità. “Hapax” lascia
l’ascoltatore ciondolarsi ad occhi chiusi mentre il profumo degli anni ’70 viene
esalato nell’aria. “Uccideresti L’Uomo Grasso?” inizia con un rincorrersi fra
il piano e la chitarra per poi sfociare nel suo incedere oramai classico.
L’album si chiude con “Acrobazie” per chi vi scrive forse il momento più alto
di “4”.
Chi
ama la Psichedelia non invasiva, il Prog e certi Porcupine Tree, non può
lasciarsi sfuggire questo lavoro, onesto, profondo e fresco. MS
SIMONE PIVA & I VIOLA VELLUTO – Fabbriche Polvere e Un Campanile Nel Mezzo
Music Force / Toks Records
Dostribuzione: Egea Music
Genere: Rock
Supporto: cd – 2019
Il Rock polveroso e sudista del chitarrista udinese Simone Piva ritorna a farsi ascoltare a due anni di distanza dal buon “Il Bastardo” (Music Force). Lo stile inconfondibile si fa spazio nella scena musicale italiana per freschezza, semplicità e buoni riff, che sono sempre la spina dorsale di chi fa della chitarra e del Rock un vero stile di vita.
Con Piva suonano Federico Mansutti (trombe), Luca Zuliani (contrabbasso), Alan Liberale (batteria) e Francesco Imbriaco (tastiere, cori). Appaiono come special guests Tony Longheu (chitarra slide), Michele Pirona (chitarra) e Davide Raciti (violino). Il disco è formato da nove canzoni bene registrate all’East Land Recording Studio a Carmons da Francesco Blasig.
L’artwork richiama il vecchio west con le pistole e le scritte stile “Saloon”, perché il Rock è anche cosa per duri. Il disco si apre con un inquietante “Impicchiamolo più in alto …Lo mangeranno gli avvoltoi…” nell’Intro ”che porta a “La Battaglia Infuria”, qui mi colpisce il testo che narra ”Le dure prove da affrontare e affrontate ci divideranno e ci uniranno, e la colla sarà l’amore”. Il sound ha per prerogativa la voce di Piva, grezza, ma che come una lima smussa gli angoli del brano.
Si chiede il protagonista “Oste, si può bere qualcosa? Tequila?” e si parte con “Da Dove Vengo” mentre il ritmo sale fra chitarre e trombe. Uno dei momenti più belli del disco per giuste melodie da cantare.
Più acida “Cani Sciolti”, testimonianza di una dura sopravvivenza in alcune zone del vecchio west. C’è anche il momento di quiete intitolato Imprevisti”, piano e voce in evidenza.
Rock Country sudista in “Oggi Si Uccide Domani Si Muore” con tanto di violino per saltellare nella stanza al ritmo della batteria. Lo stile di Piva oramai è inconfondibile.
Sembra di vedere il sole che ci batte negli occhi a mezzogiorno nel brano “Sergio Leone”, canzone dedicata al grande regista dei spaghetti western. La pistola è carica.
“Questa Estate” fra riflessioni e accelerazioni porta all’ascoltatore un altro brano da cantare.
Chiude l’album “Il Destino Di Un Uomo” con tanto di piano e violoncello, un tassello importante per la riuscita generale.
Simone Piva & I Viola Velluto procedono imperterriti il loro cammino nel mondo del Rock, senza compromessi e tanta passione. La cosa è contagiosa, si divertono gli autori e allo stesso tempo gli ascoltatori.
Si spazia, ci si distrae, si canta, con un disco che fa compagnia in ogni occasione della giornata. Tenetelo in considerazione. MS
SIMONE PIVA & I VIOLA VELLUTO –
Il Bastardo
Music
Force / Toks Records
Genere: Rock
Supporto: cd – 2017
Il
nome di Simone Piva agli amanti del Rock non dovrebbe suonare nuovo. L’Artista
di Udine ha alle spalle una nutrita esperienza oltre che quattro album in
studio: “Trattato Postumo Di Una Sbornia” (2009), “Ci Vuole Fegato Per Vivere”
(2011), “Polaroid… Di Una Vecchia Modernità” (2013) e “SP&iVV Simone Piva E
I Viola Velluto” (2015) raccontano molte storie, rafforzate dalle prestigiose date live con artisti importanti
come Nada, Zen Circus, Tre Allegri Ragazzi Morti e Morgan.
Con
Piva (voce, chitarra) suonano Luca Zuliani (contrabbasso, cori), Alan Liberale
(batteria, percussioni), Federico Mansutti (trombe, cori), Francesco Imbraco
(tastiere, cori) e Matteo Strazzolini (chitarre). “Il Bastardo” è composto da
sette canzoni a partire proprio dalla title track. Duro, ruvido e diretto il
Rock di SP&IVV ma molto attento al ritornello, quello che in definitiva è
ciò che deve restare nella mente se si vuol cantare e ricordare un brano Rock
in senso generale (chi ha detto Vasco Rossi?). Storie di bevute in poco più di
due minuti. Sopraggiunge “Hey Frank”, musica Rock sudista come hanno saputo
fare i Litfiba con “Lacio Droom”, ma qui in più ci sono le trombe ed è terra di
Cowboy, anche se i cinesi…. Ascoltare per capire. Simone Piva racconta storie ,
lo fa tramite la sua chitarra, è vero, ma la voce graffiante e intensa sa fare
ulteriormente il suo gioco. E poi a sorpresa c’è il Reggae, “Hello Madame” si propone
come canzone di facile memorizzazione che probabilmente è anche il modo di
spezzare l’ascolto e renderlo più fruibile. Importante il supporto delle
trombe. Simone Piva stupisce ancora andando a parare nel cantautorato, nuovo
stile proposto nel disco, qui dal titolo “Quando Saremo Giovani”. Sembra che
l’artista cerchi una vera e propria identità, ma lo stile invece è comune a
tutti i generi proposti, a dimostrazione che una base di personalità c’è ed è
manifesta.
Torna
il West, questa volta “Nord Est”, atmosfere chiare e pacate sopraggiungono con
la mandria del bestiame e la diligenza che sembra lasciare dietro un nuvolo di
polvere. E poi “Far West”, molto ben arrangiata e toccante, il lato più intimo
dell’artista. Il disco chiude con “Noi”, ancora trombe e il supporto
dell’ospite Giò con un ritornello ficcante e da tormentone.
Un
disco semplice, quando la musica deve farti da compagnia, magari nello stereo
dell’auto durante un lungo viaggio, dove il paesaggio che si sussegue
velocemente ne è ottima fotografia. MS
A
distanza di un anno ritornano i fratelli Seravalle, Alessandro (chitarre,
tastiere) e Gianpietro (suoni digitali, ritmiche, piano, synth, basso, generatore
di frequenza) con un nuovo progetto di musica sperimentale che vaga fra la
psichedelia e l’elettronica.
Il
disco s’intitola “Tajs!” che in friulano sta a significare “Taglio”, ma anche
bicchiere di vino e come dice il famoso detto “In vino veritas”. Il vino
inebria, apre la mente e mette in salute, ovviamente se preso proprio come un
bicchiere e non come una bottiglia, altrimenti l’effetto è assolutamente
contrario.
Il
cd è formato da dieci tracce, mentre l’artwork è a cura di Giulio Casagrande
con il quadro del padre dei Seravalle, Giovanni.
I
friulani si coadiuvano anche di special guests, Clarissa Durizzotto (sax alto)
e una vecchia conoscenza in ambito sperimentale della voce, Claudio Milano. Ed
è proprio quest’ultimo ad aprire l’album con il brano “Danzatori Di Nebbia”. I
testi sono dedicati a Pierpaolo “Spirangle” Caputo, anche suonatore di ghironda
e vengono ispirati da una conversazione che Milano ha avuto con Paolo Tofani
(Area). La prova vocale è come nel costume dell’artista, sentita, ricercata e destabilizzante,
perfetta nel contesto elettronico di supporto, un connubio felice.
“Ausa”
inizialmente è angosciosa e tetra, sopra note di un piano che sembra quasi fare
il verso a quello in riverbero di Richard Wright (Pink Floyd) nella famosa
suite “Echoes”. A metà il brano prende ritmo con suoni campionati e ripetitivi.
Un incedere battente e psichedelico.
“Aritmetica
Dell’Incurabile” parte con un loop elettronico sopra il quale Alessandro tesse
melodie con la chitarra. Il brano è più solare rispetto quanto ascoltato sino
ad ora e lascia fluttuare l’ascoltatore con la fantasia. Un ritmo sincopato
apre “Vuoto Politico”, contenente la voce di Bettino Craxi, politico italiano a
processo per “Tangentopoli” avanti al procuratore Antonio Di Pietro, una pagina
davvero torbida della nostra storia. Il vuoto è sottolineato dalla musica
elettronica che spara suoni nervosi e a tratti troncati da eco.
La
psichedelia ci fa volare in alto nel cosmo con “Saturno”, perfetta navicella
spaziale con tanto di suoni e segnali. “NYC Subway Late At Night”, batteria e
sax improvvisano e si rincorrono per poi giungere a “Bewusstsein Als
Verhangnis” (la coscienza come fatalità) fra apprensione e sofferenza. Qui una
voce fatta con il sintetizzatore narra estratti di Cioran, saggista e aforista
rumeno. Le visioni per il futuro del genere umano non sono di certo positive.
“Insonnia”
ci circonda con suoni non tranquillizzanti, fra incubo e dormiveglia. Tutto
sembra assumere un aurea oscura, instabilità mentale e paura, queste le
emozioni che scaturiscono all’ascolto.
In
“Distopia” c’è il monologo tratto dal film “1984”di
George Orwell, mentre la conclusiva “Decostruzione” è un insieme di suoni e
melodie che vanno ricomposte ed amalgamate.
Dalla
lettura alla filosofia, nella musica dell’Officina F.lli Seravalle si
incontrano Emil Cioran e George Orwell,
fra Anthony Braxton, Techno, Ambient e Prog, stile davvero unico per
personalità. Il sunto lo potrei definire in Psichedelia Elettronica.
A
questo punto direi che un bel bicchiere di vino porta anche consiglio, mentre
il mio è quello di dirvi di reperire il disco se siete stanchi della solita
musica. Tajs! MS
OFFICINA
F.LLI SERRAVALLE - Us Frais Cros Fris Secs
Zeit
Interference
Distribuzione:
BTF/ GT Music/ Pick Up/ Ma Ra Cash/ Lizard Open Mind
Genere: Sperimentale
Supporto: cd – 2018
Il
nome di Alessandro Serravalle a chi segue con passione il Progressive Rock
italiano, di certo non risulta nuovo,
specialmente se vado a nominare una band storica degli anni ’90 ad oggi, i
bravissimi friulani Garden Wall. Musica che ha sempre colpito per freschezza,
ricerca e quindi sperimentazione, quest’ultima è la chiave di lettura anche del
nuovo progetto di Serravalle.
Coinvolti
membri della famiglia nel progetto Officina F.lli Seravalle, con Alessandro
(chitarra, tastiere) c’è il fratello Gianpietro (suoni digitali, ritmiche,
piano, synth, basso, generatore di frequenza), mentre la copertina dell’album è ad opera del padre
Giovanni Serravalle. Sono convinto che quando ci sono legami così forti fra
persone, in questo caso familiari, il risultato è sempre e comunque emozionante.
Un voler uscire dalla norma, in questo album intitolato “Us Frais Cros Fris
Secs” (scioglilingua che sta a significare “Uova marce rane fritte fichi
secchi”), il genere non è di facile collocazione, in esso elettronica, New Age
e molto altro (chi ha detto Nick Cage?). Perché la musica è questo, è
comunicazione sonora, non necessariamente deve far rilassare o cantare oppure
ballare, può benissimo essere strumento di stupore. Ecco, la parola giusta è “stupore”,
perché oggi purtroppo siamo sempre meno avvezzi alla sorpresa e all’essere
stupiti. Serve dunque stupore! La moda ed i tempi di oggi invece ci raccontano
storie differenti, di stabilità ed uniformità, l’assoluta mancanza di voler
essere distratti da un qualcosa che faccia troppo pensare, piuttosto essere
tutti uguali per non destabilizzarsi.
Ebbene,
in questo album ci sono nove tracce strumentali che di sicuro vi trapaneranno
il cervello per quasi un ora. Destabilizzatevi, a partire dal suono metallico
ed elettronico di “Atrofia Del Verbo”. Un suono nervoso che si ripete come in
una sorta di loop non può che far venire alla mente i linguaggi dei più recenti
King Crimson. Di sicuro è anche un buon test per il vostro stereo, avendo nei
brani molti effetti stereo e sonorità su frequenze alte e basse, il mio Pioneer
ringrazia, perché finalmente si fa sul serio.
Inizialmente
più musicale “Que Viene El Coco”, fra basso, batteria e tastiere, poi
l’elettronica ipnotizza, proprio come sanno fare certi Kraftwerk.
Spettrale
l’incedere di “Buran”, un incubo fatto suono, ed ecco la magia della
destabilizzazione e dello stupore, il connubio è perfetto per lasciare l’ascoltatore
a bocca aperta. Più rapida nei suoi tre minuti “Brevi Apparizioni”, ispirata dalla
famosa incisione del 1799 di Francisco de Goya, ed occhio all’uomo nero.
“GW150914
6.15” ha del Pinkfloydiano, specie nella
nota a goccia iniziale che richiama i fasti di “Echoes”, ma null’altro a che
vedere con la band di Cambridge. Disturbi sonori su una ritmica più accelerata
rispetto quanto ascoltato sino ad ora. Nulla è uguale in questo labirinto di
suoni, si va a scartabellare nei meandri della mente anche in “In memoriam: Il
Gabo Del Plalanet”, mentrel’elettronica
qui da il meglio di se, per poi passare la staffetta alla chitarra elettrica e
alla batteria.
“Padiglione”
è semplicemente elettrica ma con un incedere in crescendo. Si giunge poi al
brano più lungo dell’intero lavoro con i suoi quasi nove minuti intitolato “N-a
Fost Să Fie”, un susseguirsi di loop sonori che lasciano spazio al cambio di
tempo solo alla metà del brano. Uno dei momenti maggiori in cui il suono mostra
i muscoli ma allo stesso tempo anche il lato più decadente. In chiusura “Je
Fais Semblant D’être Ici”, un modo diretto per prenderti a pugni il cervello.
Al
termine dell’ascolto il suddetto è fritto, cotto da un olio bollente di
sonorità e sensazioni. Una percezione che non provavo da anni, ogni tanto serve
anche questo. Ricordatevi di avvalorare lo stupore perché abbiamo la fortuna di
avere i fratelli Serravalle che ci aiutano! Massiccio. MS