Pagine

domenica 26 giugno 2016

Stefano Testa


STEFANO TESTA – Andrea Il Traditore
Mellow Records
Genere: Cantautore / Progressive Italiano
Supporto: cd – 2016


“Andrea Il Traditore” è il ritorno discografico di Stefano Testa dopo “Il Silenzio Del Mondo” datato 2012, ed anche il ritorno di Mauro Milani per quello che concerne la copertina. Perché questa sottolineatura da parte mia è presto detto, il ponte spazio/temporale grafico ci trasporta direttamente al 1977, quando il disco “Una Vita Una Balena Bianca E Altre Cose” presenta il debutto discografico di questo cantautore dalle radici Prog. Poche sono le stampe  dell’lp (1000) ora cibo per collezionisti, ma grazie alla ristampa Mellow Records del 1994, l’opera riprende attenzione e vita. Tuttavia il cantautore non riesce a pubblicare il secondo lavoro nel 1979, del quale è comunque pronta la suite “Decadenza E Morte Di Andrea Il Traditore”. Ecco il ponte.
Chi di voi è ferrato sull’argomento “Progressive Italiano”, ha già intuito che il 1977 non è un anno proprio felice per debuttare in questo ambito, i giochi sono di fatto conclusi (o rinviati) e la musica sta cambiando, così come la moda. Arriva la “Febbre Del Sabato Sera”, arriva il Punk e tutta la musica cervellotica va in debito d’ ossigeno. Ma ci sono davvero molti cantautori interessanti e di forte personalità che nello stesso periodo si fanno forza con l’ausilio della formula canzone, pur non disdegnando passaggi “colti”, per farne alcuni esempi ci sono Francesco Guccini, Fabrizio De Andrè, Claudio Lolli, Juri Camisasca, Stefano Rosso, Mauro Pelosi e moltissimi altri. Chi più, chi meno riescono a colpire l’attenzione del pubblico più esigente, magari con l’aiuto di alcuni passaggi in radio private, grazie anche all’impegno sociale dei testi mirati molto spesso ad un pubblico anche attento alla politica. Ma è dura. Tuttavia oggi c’è un ritorno d’ interesse nei confronti del Progressive Rock, come la storia ci insegna il genere vive di alti e bassi e Testa come molti altri artisti degli anni ’70 (Agorà, Garybaldi etc.), oggi trova la voglia e la volontà di dire la propria.
Stefano Testa nel 1966 milita nella band degli Scorpioni, suonando cover di artisti come Bob  Dylan, Animals, Rolling Stones e Guccini, ma è solo agli inizi degli anni ’70 che dedica l’attenzione e la passione al Progressive Rock.
Veniamo dunque a “Andrea Il Traditore”, suite suddivisa in sedici tracce nelle quali suonano e contribuiscono Walter Chiappelli (fisarmonica), Marco Coppi (flauto), Gianni Landroni (chitarre), Damiano Puliti (cello) e  appunto Stefano Testa (testi, musiche, arrangiamenti e programmazioni).
La sua voce è calda ed avvolgente, fra canzone e filastrocca.
“Prima Di Tutto” è nostalgica ed è strutturata su ricordi, segue “Il Senso Del Reale” che con il flauto e le sinfonie si va a collocare nel Prog. Atmosfere toccanti e affreschi barocchi si stagliano nel proseguo dell’ascolto di “Good Morning Babilonia”, godibile per un assolo di flauto ma soprattutto per gli interventi elettrici della chitarra. L’album prosegue il cammino in un'unica grande suite fra Rock Progressive, canzone d’autore, musica classica, teatrale, e  Blues. Resto affascinato dalle tetre ambientazioni sonore delle brevi “Notturno n°1 (Prima Di Una Battaglia)” e  della corale “Ce N’Est Qu’Un Debut, Continuons La Combat!”, qui Testa dimostra di essere un raffinato compositore.
Esistono frangenti che rilasciano all’ascolto fotogrammi di Felliniana e circense memoria, come in “Un Intermezzo: Situazione Di Sette” o nel “Valzer Del Ritorno”. Segue della giocosità compositiva in stile Stefano Rosso nella canzone “Era Acqua Che Correva”, ma la cultura di Testa è più ampia, non a caso nel suo genere si scorgono anche sfumature di De Andrè, come nella bellissima “Questa Assenza”.
Il disco è un altalena fra passato e presente dove “La Ballata Della Leggerezza” ne è bandiera.
Benvenuti in questo sogno di un viaggio, dove il protagonista dopo fallimenti e peripezie tenta il metaforico ritorno nel ventre materno, un viaggio sonoro che non avremmo mai potuto ascoltare se non ci fosse stata l’attenta ricerca e cura della Mellow Records di Mauro Moroni. Un altro tassello che compone il fantastico mondo del Progressive Rock Italiano. MS

lunedì 20 giugno 2016

Alchemy

ALCHEMY – Never Too Late
Street Symphonies Records / Atomic Stuff
Distribuzione: Andromeda
Genere: Hard Rock /AOR
Supporto: cd – 2016


Se c’è un genere musicale che non ha tempo è l’Hard Rock. Esso si è sviluppato nella fine degli anni ‘60 in piccoli rami (Hard Prog e Hard Psichedelico per dare due esempi), ma in sostanza si è sempre mantenuto su certi canoni. Le caratteristiche sono note, dinamiche di chitarra con riff potenti e melodie spesso di facile memorizzazione. L’uso delle tastiere subentra a pieno regime con la spinta Deep Purple, Hammond su tutte, ma in genere servono da supporto per mantenere ampie o epiche le arie dei brani. Ecco sfociare a volte nell’AOR o nel Progressive, come si dice, tutto fa brodo. Ed il genere in questione è per questo ammaliante, spesso di compagnia, specie in lunghi viaggi con l’auto.
I bresciani Alchemy si presentano a noi dopo l’ep di esordio “Rise Again” datato 2013 con “Never Too Late”.  Non è mai troppo tardi suggerisce il titolo, infatti il quintetto composto oggi da Marcello Spera (voce), Cristiano Stefana (chitarra), Matteo Castelli (basso), Andrew Trabelsi (tastiere) e Luca Cortesi (batteria) propone nell’album una serie di canzoni composte in dieci anni di nottate passate assieme.
Nove tracce cantate egregiamente da Marcello Spera che raccontano altrettante storie, ma che si fanno apprezzare per freschezza. Quando una band si diverte a fare ciò in cui crede, il risultato è quantomeno contagioso, all’ascolto si prova divertimento. Un brano che mi resta particolarmente in mente e nel cuore è proprio la title track, dalla quale colgo spunti Queensryche prima maniera, ma non si scimmiotta nulla, piuttosto si colgono le prerogative che hanno fatto grande  a seguire il Metal Prog.
Energia positiva in “Diablo” che giunge dopo l’intro “The Place Men Call Hell”, chitarre affilate come lame e  ritmiche rodate e funzionali. Altro frangente spettacolare si intitola “Blessed Path”, una sorta di schiaffo e bacio, formula inflazionata ma sempre perfettamente funzionale. La voce sale in cattedra.
Si torna a sbattere il capoccione a ritmo in “End Of The Line” e ancora energia a profusione con “Get Out”, l’Hard Rock è gioviale e fa sudare come si deve, quelle belle sudate salutari. L’album si chiude con i dieci minuti di “My Way Home” e come non mettere la frase inflazionata “dulcis in fundo”? Tutti gli ingredienti al posto giusto, dall’AOR all’Hard Rock e il Prog. Bravi Alchemy!

Dimenticavo la cosa più importante (mannaggia all’età) questi ragazzi sanno suonare davvero, ma davvero, davvero! MS

Garybaldi

GARYBALDI – Storie Di Un’Altra Città
AMS Records / BTF
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2016


In questi ultimi anni si susseguono le sorprese in ambito Progressive Rock Italiano, dopo il recente ritorno degli Agorà è la volta dei storici Garybaldi. Con i genovesi però dobbiamo tornare molto indietro nel tempo, addirittura al 1965, quando  il chitarrista Pier Niccolò "Bambi" Fossati, il batterista Maurizio Cassinelli, il bassista Angelo Traverso e il chitarrista Marco Zoccheddu (Nuova Idea) formano i Gleemen, band Rock dalle influenze anni ’60. Entrano di diritto nella storia del genere Progressive nel 1971, quando cambiano il nome in Garybaldi e soprattutto  nell’anno successivo quando producono “Nuda”, album sempre guidato dalle chitarre di Fossati in stile Hendrixiano. Famosa fu la copertina ad opera di Guido Crepax in laminato ed apribile in tre parti. Eccellenza musicale e di sostanza fisica. La band negli anni a seguire (dopo “Astrolabio” del 1973)  si scinde, creando nuovi progetti, ma in realtà con il tempo si perdono le tracce, salvo ritrovarli nei negozi di dischi con alcune ristampe.
Con estremo piacere mi ritrovo oggi nelle mani un nuovo album, “Storie Di Un'altra Città” e non nascondo l’emozione che provo nel ritrovare il nome Garybaldi stampato in copertina. Nuovamente un artwork bellissimo, questa volta ad opera di Pietro Spica, finalmente un cartonato con un libretto di accompagnamento testi leggibile e ricco di belle illustrazioni acquarello. Il tutto è già molto Prog!
Ma i Garybaldi, oggi chi sono?  Maurizio Cassinelli (batteria, voce), Jon Morra (tastiere, voce), Alessandro Paolini (basso, contrabbasso), Davide Faccioli (chitarre) e Marco Biggi (batteria). Tuttavia i musicisti non finiscono qui, nel disco si alternano numerosissimi special guest ed alcuni fanno sobbalzare il cuore del Prog fans in gola per l’emozione, ecco il ritorno di Bambi Fossati, chitarra e voce in “Vicino In Un Momento”, oppure David Jackson (VDGG) sax e flauto in “William Fix” ed Angelo Traverso con il suo basso nella canzone “Il Vento Cambia Strada”. Partecipano altre decine di musicisti, ma lascio a voi il gusto della ricerca. Importante la produzione esecutiva di Matthias Scheller, un nome ed una garanzia nell’ambito.
L’album è composto da dieci canzoni ad iniziare da “Sulla Strada”. Essa fuga ogni dubbio sulla proposta musicale, passano gli anni, ma l’amore per quello che si è resta inossidabile. Hard Prog dal riff tagliente, come spesso è capitato di ascoltare anche nella prima discografia dei New Trolls o dei Biglietto Per L’Inferno. Gira l’Hammond, si placano i suoni ed una volta tanto la voce del cantato in italiano non è male, i Garybaldi lavorano molto anche nelle coralità. Gustoso l’assolo di chitarra, perché chi ha esperienza (non a caso) sa che l’ascolto va spezzato anche con questi frangenti.
“Città Di Blà” composta assieme a Bambi Fossati, introduce strumentazioni ad archi nel Rock, con il violino di Roberto Piga, un connubio che è dannatamente vintage. “William Fix” è uno dei brani che più ho apprezzato, per energia ed attitudine, perché il Rock è fatto di chitarra, sia esso Prog, che sinfonico, o come lo intendete voi. Poi diventa spaziale quando partono le tastiere di Marillioniana memoria. Ma  in definitiva sono canzoni che giocano sempre sulla presa del ritornello e della strofa mutabile, una prerogativa prettamente italiana, basata su melodie piacevoli. Non esula “Verso Terra”, semplice e diretta. Torna la sinfonia con La Gente Sola”, una ballata che parla dell’uomo e della sua solitudine, un momento riflessivo che richiama alla memoria il Pop italiano degli anni che furono, Pooh in primis, ma con un solo centrale di chitarra da brivido.
Non ci sono suite, solo canzoni di media o breve durata, per lasciare spazio alla fluidità, scelta che reputo  indovinata. “Vicino In Un Momento” è impegnata nei testi e dura nella chitarra di supporto. Segue la trilogia “9”, tre frangenti sonori nei quali si riscontra in tutto il suo splendore cosa è il Progressive Rock, fra elettrica, coralità ed acustica. Il disco si conclude con “Il Vento Cambia Strada”.

A questo punto vi chiederete se questo lavoro è un tuffo nel passato e quindi se è una “operazione nostalgia”, la mia risposta è no, loro sono i Garybaldi e cosa dovrebbero suonare? Disco gradevolissimo, una delle uscite più interessanti in ambito Prog Rock di quest’anno. Genova, o meglio…Zena, quanti artisti, quanta bella musica, per fortuna esisti. MS

martedì 14 giugno 2016

Cyril

CYRIL – Paralyzed
Progressive Promotion Records
Distribuzione italiana: G.T. Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: CD – 2016


Squadra che vince non si tocca, almeno così si dice quando si raggiunge un buon risultato. Il debutto concept “Gone Through Years” del 2013 ha incassato lusinghiere recensioni e critiche, sia da parte del pubblico che degli addetti ai lavori. E per questo la line up rimane inalterata con Denis Strassburg al basso, Marek Arnold alle tastiere, sax e clarinetto, Ralf Dietsch alle chitarre, Clemens Litschko alla batteria e percussioni e Larry B. alla voce.
La band di Marek Arnold (Seven Steps To The Green Door, Toxic Smile, Flaming Row, UPF) ritorna all’attacco con le stesse caratteristiche che l’hanno contraddistinta, ossia influenze Metal (anche se poche), formula canzone di facile memorizzazione ed ovviamente una grande dose di Prog Rock. Il risultato è “Paralyzed”, impacchettato come da stile Progressive Promotion Records, ossia in cartonato, contenente il libretto con i testi e l’artwork ad opera di Manuel Schmid.
Sette canzoni tra le quali una mini suite a conclusione del disco dal titolo “Secret Place Part One”.
Apre “Scarlet Walking”, soft ed introspettiva all’inizio per poi sfociare in territorio Metal Prog con tastiere in evidenza. Il cuore del brano è tenero, con coralità femminile e un breve solo di chitarra che bada alla sostanza. La title track resta nell’ambito soft Rock, con un incedere certamente inflazionato, ma ben concepito, semplice e funzionale anche grazie alle coralità e all’immancabile assolo di chitarra.
La musica dei Cyril bada essenzialmente al sodo, creando atmosfere sia di rilassamento che adrenaliniche, il tutto sapientemente gestito, ossia altalenando frangenti potenti ad altri più composti. I dieci minuti di “Remember Me” ci presentano i Cyril più impegnati, le soluzioni accrescono anche grazie ai fiati. Il livello sale. Nel disco si alternano anche special guest: Susan  Kammler (oboe), Herman Schade (viola) e Dan Stein (voce).
Chitarra  acustica ed arpeggio aprono “Rainbow”, la musica sprigiona un suono caldo di iberica memoria. I colori dell’arcobaleno sono le note del pentagramma e fanno spettro in un brano che è appunto l’insieme  delle sensazioni visive. Un volto che i Cyril non ci hanno mai presentato.
Si sfiora il New Prog  in “Faded Snapshot”, piccoli istanti di Marillion e poi Metal Prog melodico, come la band ci insegna, senza invadere. Per i gusti personali di chi vi scrive, è uno dei brani più belli del disco.
“Peal Of Thunder” nei suoi tre minuti risulta essere a tutti gli effetti il singolo dell’album, grazie a un refrain e ad un incedere da band navigata nel mondo del Pop, il tutto sempre con uno sguardo nel New Prog.
Il disco si conclude con la suite “Secret Place Part One”. Questo “Part One” fa ben sperare in un proseguo, perché in effetti solo questo brano vale l’acquisto del disco. In esso tanta carne al fuoco, Psichedelia, Prog e Hard Prog.

Tutto il disco è melodico-centrico, si bada al cuore più che alla mente, la mente è tirata in causa solamente per volare in alcuni attimi davvero ariosi. A mio avviso un passo avanti rispetto al debutto, la personalità cresce così come il piacere di ascoltarli. MS 

Cromwell

CROMWELL – Black Chapter Red
Progressive Promotion Records
Distribuzione italiana: G.T. Music
Genere: New Prog
Supporto: cd 2016


Anche nel 2016 fa piacere di tanto in tanto imbattersi in un disco di New Prog. Probabilmente sotto certi aspetti il glorioso genere degli anni ’80 ne guadagna in qualità sonora, i suoni sono sicuramente meno di plastica. I tedeschi Cromwell proseguono il cammino di band come IQ, Pallas e Jadis, con alcuni spunti Hard in stile Saga ed Enchant. La storia discografica è breve, questo “Black Chapter Red” è il secondo capitolo dopo il debutto discografico risalente al 1997 con il titolo “Burning Banners”.
I Cromwell si formano nel 1993 con Anke Taeffner (voce), Wolfgang Taeffner (tastiere), Thor Stone (chitarra), Josh (basso) ed Eric Trauzettel (batteria). Oggi troviamo la line up modificata con Holger Weckbach alla voce e Frank Nowack alla chitarra e basso. L’album è masterizzato e mixato da Martin Schnella, mente dei grandi Seven Steps To The Green Door, anzi, colgo l’occasione per consigliarvi l’acquisto dell’ultimo  album “Fetish” del 2015, un gran bel sentire  in ambito Prog Rock.
“Black Chapter Red” è suddiviso in nove capitoli, alcuni abbastanza oscuri, come la copertina di Pascal Helmes sa bene rappresentare, il New Prog è strutturato sopra la trave della melodia di facile assimilazione, ossia il gruppo lascia campo alla canzone piuttosto che alla tecnica individuale. Non ci sono assolo perdifiato, salvo in alcuni spazi limitati. Si bada alla sostanza, come spesso il New Prog ha fatto nel corso degli anni anche con band come Arena. La musica è spesso cantata, solo l’acustica ed arpeggiata “The Lights” mostra il lato più tenero e romantico della band, questa invece vera vetrina delle capacità tecniche di Frank Nowack.
Chitarre spesso distorte ed un drumming di potenza, spostano spesso l’arco del tiro verso il Metal Prog, ma non invasivo, un esempio è “November Sky” dove le tastiere riescono a creare atmosfere di supporto importanti, dando profondità all’ascolto altrimenti relegato al riff semplice e diretto. Le tastiere sono dunque di aiuto e non di sopraffazione come spesso può capitare nel Progressive Rock.
“Deep Down” è il brano che maggiormente mi ha colpito ed emozionato, ampio nelle stesure.
Chiude l’album “End Of Life”, energia a profusione.
La band dimostra di avere assimilato negli anni notevole esperienza nel campo, perché questo prodotto in fin dei conti non è relegato solo ad un pubblico di nicchia, infatti il termine New Prog non vorrei che fosse più fuorviante che altro, in quanto la musica contenuta in questo disco è appetibile ad ogni tipo di pubblico che ama il Rock. Un ascolto gradevole che può essere usato anche di sottofondo per chi viaggia in auto, non cervellotico ma powerfull. MS