THE
D – United States Of Mind
Autoproduzione
Genere: Indie Rock
Supporto: cd – 2015
Il
Rock di matrice britannica, per intenderci quello classico proposto da band
come Beatles e Rolling Stones, ha illuminato la strada a band ed artisti a
seguire nel tempo. Chi non ha cantato almeno una volta nella vita brani di queste
band? Sono passati decenni, malgrado tutto le icone continuano a risplendere e
anche da noi in Italia nel nuovo millennio continuiamo a suggere da questa fonte.
Un esempio odierno sono gli avellinesi The D, formati da The Dabbler (aka
Giuseppe Matarazzo) (voce chitarra, synth), The Danger (aka Ciriaco Aufiero) (chitarra,
cori), The Damned (aka Vincenzo Golia D'Augè) (basso, cori) e The Dario (aka
Dario Botta) (batteria, chitarra acustica, cori), sotto la supervisione del
produttore Federico Carillo.
Si
formano nel 2010 con un film e una lettera in mente, ovvero la D di Jack Black
in Tenacius D And The Pick Of Destiny, i The D debuttano dal vivo nel 2011, nel
2012 pubblicano il primo singolo The Book of Guinness, nel 2013 il primo EP Alf
(distr. (R)esisto).
“United
States Of Mind” nasce grazie al crowdfunding ed è formato da undici canzoni. I
suoni comunque sono moderni e rispecchiano il sound del Rock odierno, non siamo
al cospetto certamente di un gruppo clone privo di personalità. Infatti i The D
graffiano gli strumenti, ricercano melodie e buoni arrangiamenti, cercano di
fare propria l’essenza del genere con passione e spontaneità. Questo già
scaturisce all’ascolto dell’intro “Pluto”.
“USM” presenta il gruppo nella sua nudità, perché loro sono così, si
propongono per quello che sono, senza falsità
ruffiane o secondi fini, la musica ascoltata questo mi racconta. Certamente
le melodie spesso sono inflazionate, tuttavia le idee funzionano e i pezzi
restano scolpiti nella mente. Sicuramente si adattano perfettamente alla sede
live.
“Felix,
Theon & Mr. Fox” e “Checkmate” si fanno apprezzare per semplicità ed
elasticità strutturale (chi ha nominato gli Oasis?).
Ma
il gioco diventa serio con “All Star”, dove il profumo degli anni ’60 diventa
più intenso, anche grazie a sventate Led Zeppelin prima carriera. Giocosa e
spensierata “6,16,26”, ci riscontro all’interno anche influenze Punk. Con “Pete” la scena diventa più ampia, quasi
Surf Rock, gradevole e ballabile. Più ruvida “The Genius”, Rock sanguigno al
punto giusto, come una buona tagliata (e dai ancora con gli Oasis…chi l’ha
nominati?). “Black Ants Invasion” gode della mia simpatia, perché contagiosa
nella sua semplicità, pur non essendo un momento particolarmente importante. Il
brano lento, spesso caro alle band Rock, qui è rappresentato da “3 Pounds”, non
melenso, tuttavia morbido e garbato. Chiude l’album la massiccia e cadenzata
“Glenn Matthew”.
Sicuramente i The D sono un gruppo da seguire soprattutto
dal vivo, in quanto la musica proposta è proprio contagiosa e priva di inutili
orpelli, elettrica e spassosa. Da sentire ad alto volume anche in macchina…perché
no? MS
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