Pagine

mercoledì 16 aprile 2014

Stealth

STEALTH – Shores Of Hope
Autoproduzione
Genere: Hard Rock
Supporto: cd – 2013


L’esempio dei ferraresi Stealth può calzare a pennello nell’esprimere al meglio il problema annoso, e credo a mio modesto parere anche irrisolvibile, dell’esterofilia italiana. Non è forse vero che nell’Hard Rock (e non solo) se un prodotto è straniero diviene concettualmente ed ipoteticamente più appetibile per un acquirente italiano? Se così non è, non capisco questo squilibrio di vendite, o meglio ne trarrei le conclusioni che noi italiani non sappiamo suonare questo genere. Ma in verità così non è, qui ne avete un esempio lampante. E si… perché “Shores Of Hope” è un disco accattivante, sporco e stradaiolo, con un pregio non trascurabile: l’eterogeneità.
Si formano nel 2007 da un idea del chitarrista Luca Occhi e nel 2012 producono un ep dal titolo “ Echoes From A Dark Lake Brideg”, qui in questo disco d’esordio presente nella sua totalità.
Completano la band Enrico Ghirelli (voce), Matia Catozzi (chitarra), Andrea Rambelli (basso) e Marcello Danieli (batteria).
“Guns! Guns! Guns!” apre con energia e come una retta unisce senza diversivi di rotta, i punti groove ed adrenalina. La situazione si ripete in maniera più rilevante in “The Border”, grazie a degli assolo strumentali, semplici e Rock, maledettamente Rock. Il ritmo rallenta con “Ozone Fades”, non la tensione che resta alta, sporcata da una pennellata di oscurità Sabbatiana. Quando dicevo di eterogeneità, mi riferivo anche ai momenti più pacati alternati a questi più vigorosi, come accade in “Godspeed” o in “Black Century”. Uno dei riff più interessanti e godibili lo si ascolta in “Nuclear Warfare”, canzone che riesce a restare impressa nella mente.
Si respira aria Metal degli anni ’80, non marcatamente ma necessariamente ingrediente di un contesto che nell’insieme funziona. Uno di questi ingredienti è l’epicità che si estrapola anche all’ascolto di “Pharaoh”.
In conclusione “Shores Of Hope” è un disco di onesto Hard Rock, senza forzature, con buone vibrazioni ed altrettante energie. Di certo non un must, ma dimostratore di buona salute per un genere che, alla faccia dei corvi, non muore mai. Ed io con loro resto nel paradiso conclusivo di “My Heaven”. (MS)


  

VeraEuridice

VERAEURIDICE – VeraEuridice
SPB Produzioni
Genere: Metal sinfonico
Supporto: EP – 2014


Con un concept alquanto intrigante, vengo alla conoscenza di questo nuovo progetto svizzero dal nome Veraeuridice. In esso lavorano Fabrizio Sassi (voce e chitarra), Giorgio Terenzani (basso anche in Arthemis, Absynth Aura, Killing Touch, Angels and Demons e Mr. Pig), Maura Nardelli (voce), Laura Scotti (voce lirica), Mauro Desideri (orchestrazioni, tastiere) e Paco (batteria). Intrigante perché trattasi di un racconto a doppia lettura, la prima riguardante il viaggio di Orfeo agli inferi per recuperare Euridice (opera composta da Christoph Willibald Gluck), la seconda opzione è data dal dubbio: …E se in  “VeraEuridice”, Vera fosse il nome di un altra donna? A voi la scoperta e la voglia di documentarvi anche in www.frammentiimmortali.com .
Il concept è cantato in italiano, ad iniziare da “Mi Prenderò Gioco Di Te”, Euridice creatura senza scrupoli che inganna Orfeo. Musica Metal sinfonica ed epica, con buone soluzioni di tastiere e giochi di voce maschile/femminile. Molto orecchiabile e di certo adatta ad un pubblico abbastanza ampio, non relegato esclusivamente al Metal.
Euridice è affascinante, per questo anche “Pericolosa” come un lago ghiacciato che ti invita a camminarci sopra per poi ingoiarti nelle sue gelide acque. Arie aperte, liricità e melodie semplici e dirette. Bellezza dunque, quella che ti attira ne “La Trappola Dei Sensi”. Qui il ritmo sale, salvo ritornare nell’epico durante il ritornello.
Imponente l’inizio di “Scritto Con La Luce”, per tornare nel binario stilistico sino ad ora descritto nell’immediato susseguirsi. La formula canzone spesso fa capolino fra le note, e questo è un fattore positivo che dona freschezza all’ascolto. Invece cercando dei difetti si può rilevare l’assenza di importanti assolo strumentali (esclusi sporadici e brevi istanti, seppur gradevoli, proprio come in “Scritto Con La Luce”), questi avrebbero reso l’ascolto certamente più fluido e probabilmente più profondo.
Più intima “Fidati Orfeo” e colgo l’occasione per sottolineare la buona prova vocale ed interpretativa di Maura Nardelli. Personalmente il pezzo che prediligo.
L’EP si conclude con “Io Come Mare D’Inverno”, altro frangente ricco di pathos, giochi di voci ed epicità miscelata con la canzone.
Un bel lavoro, orecchiabile e comunque non scontato che sicuramente vi farà passare ventidue minuti in compagnia di buona musica. Come già detto, non solo per fans del Metal. (MS)



lunedì 14 aprile 2014

Zoundworks

ZOUNDWORKS – 2014
Life Line Productions
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2014


Erik De Beer, polistrumentista olandese e fautore dell’ottimo progetto Life Line Project, è un fiume in piena. Non si finisce mai di conoscere il suo materiale sonoro proposto nel tempo. Molto spesso capita che  rispolveri la musica composta nel passato, per ridonargli nuova veste. E’ anche il caso del progetto Zoundworks risalente ai primi anni ’80.
Con esso Erik ritorna a suonare personalmente tutti gli strumenti, a partire dal flauto alla chitarra elettrica, così tastiere, basso e batteria. La collaborazione esterna questa volta arriva soltanto a livello vocale, grazie alle voci di Ankie Jansen, Marion Brinkman, Mieke Meijer e di Heleen Vos.
Sempre di Progressive Rock si tratta ed in questo caso anche più allegro delle precedenti realizzazioni con Life Line Project. I brani contenuti in “2014” sono ben sedici, tutti di medio bassa durata, arrivando al massimo dei 4.20 minuti.
Nel suono rispecchiano le caratteristiche del genere di quegli anni, ossia una via di mezzo fra il Prog ed il New Prog, questo lo si evince già dall’iniziale e chitarristica “First Flight” che non sfigurerebbe in un album dei Rousseau. E la chitarra viaggia ancora di più nella successiva “What’s That Zound?”, inseguendosi allegramente con le tastiere, vera passione di De Beer. Infatti nel disco suonano Mini Moog, Hammond, Roland, Piano ed altro ancora. Bellissima “Prelude To The Future”, con un arpeggio di chitarra che rispolvera i fasti dei Genesis periodo Hackett.
Un pregio del disco sta nella freschezza delle composizioni, relegate si al contesto colto del Rock, ma che badano direttamente al sodo, senza orpelli e guardando in faccia solamente alle buone armonie. “The Last War” è al riguardo proprio un esempio di sintesi Progressiva, confermando che se si vuole, nel genere si può essere non scontati con buone melodie.
Un flauto dolce apre “Interlude”, una delle migliori realizzazioni dell’album, per carisma e varietà di suoni e ritmi. Divertente “Injustice”, con la voce di Ankie Jansen, quasi una filastrocca ma con un ritornello più importante.
Non mancano i frangenti più tecnici o toccanti, come in “Again”, oppure le composizioni più ricercate (“Zoundwork Shuffle”) e neppure il Folk, grazie a “Early Bird Waltz”, a testimonianza della buona preparazione tecnica e culturale di questo artista olandese. L’ascolto di “Cantata”, ricca di vocalità,  mi fa venire alla memoria certe soluzioni alla Focus, il che è anche una piacevole sorpresa. Ricca di sonorità e di allegria. Il disco si chiude con “Last Flight” leitmotiv dell’album.
Si sente che Erik De Beer vive di musica, che la respira e la metabolizza, il risultato è contagioso e resto stupito anche dal fatto che questo progetto Zoundworks sia restato celato per così tanti anni.

Buona scoperta per il sottoscritto e spero che lo sia anche per chi, come voi, ama la musica Progressive, quella più semplice e diretta. (MS)

domenica 13 aprile 2014

La 1919

La 1919 – False Memory Syndrome
Artisti Del 900
Genere: Alternative/Prog Rock
Supporto: cd – 2014



I La 1919 sono un duo milanese composto da Luciano Margorani (chitarra, basso, synth) e Piero Chianura (basso, Synth e tastiere), oggi con la giunta del batterista Federico Zenoni. Si fondano nel 1980 e propongono un Rock Prog sperimentale. Fanno parte della cooperativa L’Orchestra di Milano. Partecipano al festival milanese di musica contemporanea “Musica Nel Nostro Tempo” a Milano nel 1989, nel 1994 al FIMAV in Quèbec, nel 2001 al festival milanese “To Sting” e nel 2004 alla terza edizione dell’ “Italian Jazz Rebels Festival” di Meldola (FO). Nei suoni proposti si riscontrano anche influenze King Crimson, lo si può ascoltare nella discografia composta da  “L’Enorme Tragedia” (1985 – ADN), “Ars Sr A” (1987 – ADN), “Jouer, Spielen, To Play” (1994 – Materiali Sonori), “Giorni Felici” (1997 – Materiali Sonori) e “Freepopjazzrock” (2005 – Auditorium Edizioni).
Quindi dopo trenta anni di musica, il carattere del gruppo è ben definito e aggiungerei anche di forte personalità. Ascoltare la musica dei La 1919 necessita di sgombero mentale da pregiudizi alcuni. Ricerca si, ma non estrema o perlomeno non forzata, le armonie si reggono ampiamente in piedi, pur essendo strutturate con divagazioni di tema. Il cd è suddiviso in due capitoli, il primo con cinque tracce dal titolo “Side A” ed il secondo “Side False” a sua volta da altre cinque.
L’introduzione di “Fuzzy Trace Theory” è tuttavia rassicurante, con un fascino tipicamente anni ’70, per poi giungere a “Marion Crane”, una combinazione di suoni che personalmente mi ritraggono una scena tipicamente nordica del Prog attuale, quello che ha come punto di riferimento i King Crimson. Le chitarre elettriche richiamano spesso e non a caso le modalità di Fripp. Più articolata è “Uncle Dog”, per meglio dire si racchiude nell’ambito Prog nel senso più sperimentale e coraggioso del termine. Niente Genesis o Gentle Giant per intenderci, piuttosto voglia di andare  e lasciarsi andare. La ritmica ricopre un ruolo importante, molto presente, come in “Falsi Incidenti”. Resto colpito dalla Psichedelia di “Progetti Di Grandi Città Con Terrazze”, fortemente labirintica, pregna di suoni e spettrali soluzioni. Ne amo le chitarre acide.
Le dissonanze sonore di “FMS #1: Hawaii” intraprendono il cammino di “Side False”, qui le tastiere ricoprono un ruolo più importante e comunque tutto sembra fluttuare, come cercare di restare in piedi su di un grande materasso ad acqua, dove si fatica a restare in equilibrio. Sensazioni dettate dalla musica a tratti inquieta e solo apparentemente amica di certe rassicuranti melodie, esse celano insidie mentali, esempio ne è anche “FMS #2: Il Sogno Di FF”.

Ma non è importante dare ragione al cervello, ossia a quello razionale, bensì a quello che si prova, perché in fin dei conti la musica, scatenando in noi dopamina, non fa altro che ingannare il cervello stesso con piaceri chimici, droghe illusorie e quindi immagini per un orecchio, come dicevano i grandi Arti & Mestieri. Io invece vedo la musica come un vestito per un orecchio e se avete voglia di colorarlo in maniera stramba ed irriverente, oggi non dovete fare altro che fargli indossare “False Memory Syndrome”, ma questo è un consiglio che faccio soltanto ai più open mind di voi, perché altri già mi avranno preso probabilmente per un folle. Pazienza. (MS)

domenica 6 aprile 2014

Flaming Row

FLAMING ROW – Mirage – A Portrayal Of Figures
Progressive Promotion Records
Genere: Metal Progressive
Supporto: cd – 2014



Quando mi capitano fra le mani sforzi realizzativi di codesta portata, capisco che l’arte musicale Metal Prog non  vedrà mai la fine dei suoi giorni. Una produzione imponente che inevitabilmente fa riaffiorare alla memoria dei fans quella del progetto Ayreon, ma in questo caso  la pasta è ben altra, qui si tratta della band tedesca Flaming Row alla propria seconda realizzazione dopo tre anni dal “Elinoire”. 6 pagine digipak e 16 di libro descrittivo all’interno del cartonato che impreziosisce l’acquisto, questo è quello che si presenta alle nostre mani e per mettere la ciliegina sulla torta non si può ignorare il lavoro di registrazione e di mastering da parte di Martin Schnella e Jost Schluter, una qualità davvero sopra la media del periodo. La band è composta da Martin Schnella (chitarra, basso, tastiere, percussioni, voce), Kiri Geile: (voce), Marek Arnold (tastiere, sax, clarinetto) e Niklas Kahl (batteria), ma la serie di special guest fa tremare i polsi ai Metal Prog fans. La lista che si può vedere e leggere all’interno dell’artwork è lunga e ricca di artisti importanti, si trovano componenti dei Shadow Gallery come Gary Wehrkamp, Brendt Allman e Brian Ashland, oppure dei Spock’s Beard come Jimmy Keegan, Dave Meros e Ted Leonard (anche Enchant). E poi Leo Margarit (Pain Of Salvation), Kristoffer Gildenlow (ex Pain Of Salvation, Rust), Arjen A. Lucassen (Ayreon), Eric e Nathan Brenton (Neal Morse Band), Diego Tejeida (Haken) e moltissimi altri ancora!
E allora partiamo con il concept: La storia di “Mirage”, come da tradizione del settore Metal Prog, riguarda una trilogia incentrata nel futuro. Ovviamente non esimono guerre di mondi annessi, con invasioni aliene da parte della razza Minders, precisamente qui nella terra. L’uomo è diventato intelligente, ma decisamente arido di spirito ed autodistruttore, a causa dell’ inquinamento creato per i propri interessi tecnologici. Da qui la scelta del “magistrato” dell’universo a voler distruggere la razza umana, vero pericolo cosmico. Ma ecco l’immancabile eroe umano che tenta di salvare il mondo: ”Elite”.
Compratevi le patatine e prendete una birra fresca, mettetevi comodi ed iniziate questo lungo viaggio sonoro di ottanta minuti che si aprono con la stupenda suite “Mirage – A Portrayal Of Figures – Part 1”. Lo stile? Inevitabilmente un mix di quanto detto, Dream Theater compresi, fra Metal, Folk e Prog più acustico, in alcuni frangenti anche di classe. Cambi umorali e musica totale, immenso insieme di stili differenti.
Malgrado il complesso pirotecnico di strumentazioni e di soluzioni, la melodia è sempre l’arma vincente dei Flaming Row.
“Aim L45” è epicamente Folk, acustica ed inanella una insieme di voci che la rendono ancora più magica. Blind Guardian docet? Forse, ma si riparte nuovamente nel Metal canonico grazie a “Burning Sky”. Artisticamente parlando, per coraggio di soluzioni, “Journey To The Afterlife” è generosa ed anche inizialmente gioiosa. Godetevi le virgolette, ossia le chicche tecniche che di tanto in tento impreziosiscono il suono, una volta tanto esaltiamo anche la tecnica. Ci sono anche momenti dal groove marcato, stradaiolo, come in “Alcatraz”, tanto per confondere ancora di più le idee. Ma basta annoiarvi, le parole servono più a poco, serve ascoltare, vi dico solamente che le tracce sono otto.
Musical fantascentifico.

Di questo album è stampata anche l’edizione limitata con un cd aggiuntivo completamente strumentale. Vogliatevi bene. (MS)

sabato 5 aprile 2014

Allan Glass

ALLAN GLASS – Magikarp
Nova Feedback Records
Genere: Alternative Rock
Supporto: cd – 2014



Il duo alessandrino di Pontecurone formato da Marco Matti (chitarre e voce) e da Jacopo Viale (batteria - drum machine - synth), esordisce ufficialmente dopo due ep, con questo album di otto canzoni dal titolo “Magikarp”.
Cosa attenderci  è già descritto nel percorso tracciato da “Guzznag”, ossia un Alternative Rock Psichedelico dalle tinte fosche ed infangate dal Punk. Sono giovani artisti, ma dalle idee ben chiare, con una passione per i personaggi Pokemon ai quali associano la propria musica.
Le voci sono alterate, la musica spesso roboante e comunque “space”, tanto da suggestionare la mente con immagini fantastiche dettate dalla fantasia dell’ individuo che ascolta.
Il lavoro si apre con un breve intro dal titolo  “La Tua”, basato su ritmiche intense per poi sfociare in “E’ Difficile”. Qui il gioco è già differente, più intensità e incantesimo, per alcuni versi definirei Noise l’approccio alla composizione.
Spensierate attitudini Punk/Psichedeliche con “Palloncini E Pavoni”, spazio dunque alle melodie di facile memorizzazione, seppure per una breve durata. Ancora ritmica importante e chitarre distorte in “ Betulle”, rozzo ed irriverente. Ed è la volta di “L’Estate Non Conta (pt1)”, sempre basata su suoni sporchi e ritmiche intense. In essa trasuda divertimento, si evince all’ascolto la passione dei ragazzi nei confronti di questa musica che di per se diviene contagiosa. Più riflessiva la seconda parte del brano omonimo, abbracciando a pieno la causa Psichedelia.
Più “canzone” il brano “Plastic Bubble In The Mystic Place”, con graffi orrorifici di oscurità, la conclusiva “Nell’Ora Della Nostra Morte” è assillante come l’attesa dell’epilogo della nostra esistenza.

La musica degli Allan Glass è diretta, non si perde in chiacchiere, bada al sodo e all’emotività immediata. Immaginate lunghe suite Psichedeliche private degli inutili orpelli. Questo è “Magikarp, prendete nota. (MS)