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lunedì 20 gennaio 2014

Taproban

TAPROBAN – Strigma
Musea
Genere: Prog sinfonico
Supporto: cd – 2013



Mi sono chiesto spesso perché esistono fenomeni di massa imbarazzanti e non soltanto in ambito musicale. Da attento osservatore, ho dedotto che i tempi odierni, quelli di internet e della connessione sociale, sono un papparozzo di mordi e fuggi. Le persone sono invase e stordite da una mirande di dati (più o meno veritieri), informazioni, video etc. da restarne paradossalmente indifferenti. Come un virus che si sente attaccato dalla medicina curante, si crea una autodifesa nuova, chiudendosi in se stesso dietro ad una invisibile barriera. Questo succede oggi, l’individuo sa tutto e non sa niente, piuttosto approssimativo. Non ha più intenzione e ne il tempo di approfondire. Ora ad esso propinargli musica per la mente, quella che fa pensare, è quantomeno controproducente, in quanto farà soltanto finta di amare questo “qualcosa” di apparentemente culturale, ma in realtà soltanto a parole. Il Prog è questo, a parole un genere rispettato e condiviso, in realtà ignorato nei fatti delle vendite.
Per fortuna che esistono artisti come i Taproban che perseverano e se ne infischiano di tutto, critica e pubblico compreso, semplicemente suonando ciò che amano. Questi per chi scrive, sono i veri artisti. E non stiamo di certo parlando neppure degli ultimi arrivati, perché il gruppo del tastierista Gianluca De Rossi si forma nel 1996 e realizza ben tre album di buona fattura, come “Ogni Pensiero Vola” (2002 – Musea), “Outside Nowhere (2004 – Mellow Records) e “Posidonian Fields” (2006 – Mellow Records). Dunque “Strigma” è un ritorno da una lunga assenza che francamente mi ha lasciato l’amaro in bocca, in quanto il progetto Taproban l’ho sempre considerato positivo e di buona qualità. Dopo sette anni sono quantomeno curioso di poterli riascoltare con del nuovo materiale ed una  nuova formazione composta nell’incisione dell’album da De Rossi (tastiere, flauto, voce), Roberto Vitelli (basso, chitarra) e Francesco Pandico (batteria), quest’ultimo recentemente sostituito da Fabio Agresta.
E la musica? Non cambia poi di molto, rimangono le sonorità alla EL&P, Orme, Banco e Balletto Di Bronzo. Rinnovo anche il significato del nome Taproban a cui la band prende spunto, Taprobana è l’antica denominazione dell’isola di Ceylon oggi Sri-Lanka, dove Tommaso Campanella immaginò il sito della sua Città Del Sole. Ma veniamo a “Strigma”, crasi delle due parole latine “Strix” (strega) e “Stigma” (marchio). In esso c’è tutto quello che un vero amante del Prog vuole ascoltare, basta dire che il disco è composto da tre suite per avvallare la tesi.
Si comincia con “Nesia Al Notturno Congresso Delle Streghe”, una triste storia di una ragazza dodicenne condannata al rogo dalla Santa Inquisizione in quanto serva del demonio, dopo aver partecipato ad un sabba, seppure in maniera casuale.
Apre un arpeggio che lascia spazio alle numerose tastiere a cui andremo incontro nel lungo cammino di “Strigma”. Sonorità grevi si alternano ad ampie schiarite, pur restando sempre velate di malinconia. Agli amanti delle tastiere elenco cosa andrete ad ascoltare in questo cammino, dall’Hammond C3 al Leslie 122, al Mellotron SM400 (cori e flauto), Manikin Electronics Memotron, Hohner Claviet D6, Minimoog D, ARP, Nord Electro 3 HP ed EMU Vintage pro!  Un vero e proprio armamentario del Prog. Intanto il brano gioca fra virtuosismi e melodie vintage, con tempi spezzati come spesso ci hanno suggerito i Genesis di Peter Gabriel. Alcune nenie ricordano  i Goblin più oscuri, perfetta fotografia di questo contesto ne è anche l’artwork  rappresentante “La Danza Delle Fiamme” di Daniela Ventrone. E quindici minuti passano in un baleno. Il secondo brano dal titolo “Lo Sguardo Di Emily” è il più breve dell’album, della durata di otto minuti e mezzo. Qui si coglie l’attimo, quello di due sguardi di ragazzi che si incontrano in un istante, quello breve di un incrocio fra due treni che corrono su due binari paralleli. Cambi di ritmo  sono la prassi di questo genere e il brano in analisi non esula da questa regola. In alcuni frangenti, si richiamano anche gli IQ  periodo anni ’80 del New Prog inglese alla ribalta. La musica evoca immagini, la ripetitività di alcuni fraseggi martellano la mente, salvo mutare pelle e strumento solamente al momento giusto, tanto da non annoiare.
Il disco si conclude con “La Porta Nel Buio”, uno spaccato della solitudine intesa come luogo dove poter trovare se stessi ed accrescere autostima nei propri mezzi. Apre un intro pianistico intenso e profondamente intimistico, come trama vuole, per poi districarsi in ambienti cari al Progressive italiano di natura vintage. Unico brano con un breve testo cantato. Una suite che probabilmente nella mente di un fans del genere proietta deja vu, croce e delizia di questo spaccato italico Progressivo.
Siamo al solito discorso trito e ritrito fatto negli ultimi anni al riguardo del genere, “Progredire” o “Regredire”? Una cosa è certa, la risposta qualunque essa sia lascia il tempo che trova, in quanto la musica di base deve solamente emozionare e quando ciò avviene lo scopo è raggiunto. Poco importa il mezzo, il resto sono soltanto elucubrazioni cervellotiche che lasciamo fare ai filosofi del Prog. Io ascolto ed apprezzo. Bentornati Taproban. (MS)

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