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venerdì 25 giugno 2021

Landberk

 LANBERK - il freddo del nord che riscalda

(Di Massimo Salari)


CHI SONO I LANDBERK

 


Si formano nel 1992 con Patric Helje (voce), Reine Fiske (chitarra), Stefan Dimle (basso), Simon Nordberg (tastiere) e Jonas Lidholm (batteria). Sono dediti ad un rock progressivo dal suono essenziale, quasi magnetico. Gli strumenti vengono appena sfiorati e raramente aggrediti. Mancano dunque lunghe suite nei loro dischi, mancano i cambi di tempo, ma in controparte hanno un carisma al di fuori della norma. C’è tristezza, religiosità, delicatezza nei brani, sin dall’iniziale cd d’esordio RIKTIGT ÄKTA (1992 Landberk/ 1995Record Heaven). Il cantato in lingua madre non rende il disco molto fruibile, ma la musica ossessiva e delicata riesce ugualmente a cogliere l’animo di chi ascolta. Nello stesso anno i Landberk registrano nuovamente il disco con il canto in inglese ed il titolo è LONELY LAND  (1992 - The Laser Edge) logicamente per tentare di accalappiare l’attenzione di un pubblico più vasto. Le potenzialità a loro disposizione fuoriescono nel 1994, nel capolavoro ONE MAN TELL’S ANOTHER  (1994 - Megarock Records) eletto dalla critica disco Prog dell’anno. In esso c’è magia, una magia che sfiora ed ammalia, anche i King Crimson hanno la loro influenza, come in Time e Kontiki. La band parte per diverse date live e toccano anche il nostro suolo. La testimonianza sonora dell’evento è intitolata UNAFFECTED (1995 - Melodie & Dissonanze). Le canzoni sono registrate alcune all’Usignolo Di Castelnuovo Del Garda ed altre il giorno dopo in Germania. Bella la cover iniziale dei Van Der Graaf Generator Afterwards. I Landberk si congedano dalle scene con un disco di una bellezza cristallina dal titolo INDIAN SUMMER (1996 - Record Heaven), proprio per questo che il rammarico per la scissione è ancora più doloroso. Nel 1998 Stefan Dimle e Reine Fiske si fondono con Nicklas Berg e Peter Nordis degli Anekdoten per dar luce ad un breve progetto dal titolo Morte Macabre, Il risultato è il buon SYMPHONIC HOLOCAUST, lavoro dalle ovvie tonalità oscure ma carente dell’energia madre che caratterizzano le due band.

 

 

DISCOGRAFIA IN STUDIO

 

 

RIKTIGT ÄKTA (1992 Landberk/ 1995Record Heaven)

LONELY LAND (1992 - The Laser's Edge)

ONE MAN TELL'S ANOTHER (1994 - Megarock Records)

INDIAN SUMMER (1996 - Record Heaven Music)





LANDBERK – Indian Summer 
Record Heaven

Genere: Progressive Rock
Supporto: cd - 1996




 

Ci sono dischi che vorremmo non finissero mai. Musica rassicurante, che coccola l’anima, quella che fa stare bene, quasi come trovarsi nel grembo materno, nuotare nel liquido amniotico, i svedesi Landberk con questa ultima loro fatica in studio lo testimoniano anche nella copertina rappresentante un corpo di una donna in dolce attesa.
In questo caso si rientra in un genere che potremmo definire sia progressive rock che post rock, la musica dei Landberk sfiora i King Crimson e gode di personalità importante. Gli strumenti vengono spesso accarezzati, quasi sfiorati , come se si volesse chiedere scusa del disturbo. La voce è sognante, così come le esibizioni live che elargiscono nel tempo rappresentazioni spirituali con tanto di candele accese. La band fa parte del filone della rinascita del progressive rock anni ’90 in compagnia dei connazionali The Flower Kings, Anekdoten, Anglagard e Sinkadus. Non sono autori di molti dischi, solo cinque in studio ma tutti di elevata fattura tecnica ed emotiva. INDIAN SUMMER è il loro ultimo disco come ho avuto modo di dire, e lascia ancor più l’amaro in bocca in quanto rappresentante del crescendo qualitativo del gruppo, chissà cosa avrebbero potuto produrre visto il miglioramento artistico in divenire.
In questo album non esistono momenti di calo, tutte le canzoni prendono l’ascoltatore dal primo all’ultimo istante, ad iniziare da Humanize. La chitarra sfiorata di Reine Fiske (Morte Macabre, Paatos, Motorpsycho, Elephant9 e Träd, Gräs & Stenar.) inizia il brano che si apre in un giro ritmico molto blando ed un Mellotron che riporta l’ascoltatore indietro negli anni ’70. Le melodie sono semplici, dirette traghettate dalla bella e sentita voce di  Patric Helje. Musica per alcuni versi ipnotica nell’incedere. La sensazione di fluttuare nel liquido che ci circonda è amplificata dal brano ancora più lento All Around Me. Una sensazione che travalica nell’onirico, sopraggiunge una quiete appagante anche se non mancano frangenti più nervosi dettati proprio dall’influenza dei King Crimson, compresa nella voce filtrata.
Un momento più rock, ma anche quello più breve con i tre minuti e poco più, lo si ascolta in 1st Of May, frazione stranamente più solare rispetto all’andamento del disco, il tutto comunque sempre in maniera pacata ed elegante. Uno dei capolavori si intitola I Wish I Had A Boat, momento quasi in punta di piedi, un giro di basso ancora ipnotico accompagna l’ascolto in un percorso dove si può incontrare un sussurrato Mellotron, una ritmica minimale e una chitarra cortese. La voce inutile sottolinearlo è la protagonista per patos. Il ritmo torna a salire con Dustgod, vero e proprio potenziale singolo di INDIAN SUMMER con un ritornello a dir poco orecchiabile. Dreamdance è ancora più ritmata, insistente ma anche soave, essa accompagna all’ascolto di un altro capolavoro dell’album, Why Do I Still Sleep. La mente viene rapita fra echi e voci femminili a supporto della lirica mentre la chitarra  si limita a fare da guida. Ecco uno di quei momenti che vorresti non finissero mai.
INDIAN SUMMER si chiude con la title track, uno dei brani più lenti che io abbia ascoltato in vita mia, a questi livelli neppure i Radiohead. Una minimal-song assoluta, dove spazio e tempo sembrano immersi nel liquido amniotico dell’inizio della vita. Chitarra arpeggiata, quasi sfiorata e voce in fievole sussurro lamentoso. Tutto intorno a noi sparisce. Quando la musica è arte.








2 commenti:

  1. Un ringraziamento per aver ricordato una stupefacente band, che faceva parte del trittico delle meraviglie con Anglagard e Anekdoten (mai sopportati i Flower kings solo in rare occasioni) li scoprii un po tardi, perché in quegli anni era il metal estremo che amavo ed il metal tutto era diventato di "moda". Mi chiedo perché in tempi in cui viene ristampato e rimasterizzato di tutto, anche molte porcherie, questi gioielli (soprattutto il secondo cd) vengono dimenticati e lasciati nell'oblio. È un vero sacrilegio. Poi sono convinto che piacerebbero anche ai non convinti progster. Loro tre insieme a pochi altri sono stati i gruppi della vera rinascita prog. Altro che Dream Theater, loro anno fatto scoprire ai ragazzini il prog nel metal, scopiazzando dai Rush, Pink Floyd e Metallica. Dimenticati. Grazie da Ivano.

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  2. Ciao Ivano!
    Sottoscrivo tutte le tue parole, e visto che mi ci trovo ti consiglio anche i SINKADUS, band molto simile ai Anglagard e sono dello stesso periodo. Magari li conosci già, ma se non li conosci, hai di che godere!

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