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sabato 7 marzo 2020

Celtic Frost

CELTIC FROST - Into The Pandemonium
Noise Records
Genere: Death – Black Metal
Supporto: 1987 – lp


Amo gettarmi dentro alcune sfide sonore che hanno tracciato un epoca, ma che allo stesso tempo segnano la fine di una band. Gruppi che hanno modificato le coordinate di un genere, in questo caso il Black Metal, con grandi idee non al momento apprezzate dai fans, addirittura tacciando la band di “tradimento” ma che negli anni si scopre vero e proprio punto di riferimento per generi a venire.
La vita dei svizzeri Celtic Frost non è di certo semplice e lineare.
Il trio nasce a Zurigo nel 1984 ed esordisce con un vero e proprio must, quel “Morbid Tales” ancora oggi  molto ricercato anche fra i collezionisti di vinile. Tom Gabriel Fischer (voce, chitarra, logo, artwork, produttore) ne è il leader indiscusso, con il suo cantilenare graffiante e monotono soltanto spezzato di tanto in tanto da quel “Uh!” gutturale che diviene nel tempo loro marchio di fabbrica.
Il trio si completa con Martin Eric Ain (basso, effetti, produttore) e Stephen Priestly  (batteria, percussioni). Il look è quello delle band Metal nordiche, con tanto di face paint, borchie, pelle e catene, non si lascia adito a dubbi su quello che il gruppo può proporre musicalmente. Nel tempo cambia anche il look, verso una sterzata Glam, questo accade con il disco “Cold Lake” nel 1988,  ma già i fans stanno loro girando le spalle da tempo. Ma vediamo il perché.
Ho accennato a “Morbid Tales”, devastante e corrosivo album di Black Metal classico, quello che il 90% delle persone considera “rumore”. Nasce dunque il mito underground, fra i metallari girano le cassette, allora prototipo di nostrano ed odierno “You Tube”. Il passaparola si faceva così, fra amici e a mano. Ebbene in breve tempo i Celtic Frost hanno un buon seguito, “To Mega Therion” (1985) è la conferma ufficiale, un album irriverente, con in copertina un Cristo adoperato dal diavolo come fionda, un album nel suo genere perfetto, nero come la pece. Fra i due lavori c’è un buon ep dal titolo “Emperor's Return” (1985). Ma Tom Gabriel “Warrior” non è una persona che si accontenta di quello che da, vuole fare di più, sfida, cerca, vuole stupire e creare nuovi innesti nella musica. Ecco nascere  “Into The Pandemonium”, un album che va ascoltato e capito nel contesto anno 1987, perché ascoltato oggi può  non indurre a stupore. Invece lo stupore c’è, chi nel 1987 ha miscelato Disco, Death, Black, Doom Metal estremo, drum machine,  sinfonia e lirica assieme? Sono generi completamente distanti l’uno dall’altro ed ecco dunque lo stupore dell’ascoltatore dinanzi ad un risultato quantomeno per i tempi fuorviante. Invece a seguire, moltissimi altri gruppi hanno saccheggiato questo album e fatto di esso una propria carriera. Meravigliosa la copertina gatefuld, un  dettaglio tratto dal Trittico del Giardino delle delizie di Hyeronimus Bosch.
L’album si apre con una cover dei Wall of Voodoo, “Mexican Radio” per poi passare alla malinconica e lamentosa “Mesmerized”, primi (anche se moderati) segni di sperimentazione che di li a poco arriveranno, ma prima la devastante canzone Celtic Frost dal titolo “Inner Sanctum”, un classico. Ed ecco il primo pugno allo stomaco all’ascoltatore, “Tristesses De La Lune”, canzone archi e voce in francese, quella femminile di Manü Moan. Ci pensa “Babylon Fell” a far tirare un sospiro di sollievo al fans Celtic, ma è solo una mera illusione. Si passa ad un Doom lamentoso intervallato da Death classico con “Caress Into Oblivion (Jade Serpent II)” ed a “One In Their Pride (Porthole Mix)”, quest’ultima pezzo dance fatto con la drum machine! Rumori si susseguono con voci codificate e violini dissonanti! Niente più chitarre distorte. Genialità od incoscienza?
I Celtic Frost si fanno perdonare con un classico che sarà anche il singolo di questo album “I Won't Dance (The Elders Orient)” e comunque sempre distante dal modus operandi di “Morbid Tales”. Giunge a questo punto il Metal Doom lirico con accompagnamento di voce femminile di “Rex Irae (Requiem)”, territorio dove band come Therion hanno costruito una carriera. Il clamoroso disco si conclude con corni, orchestra e Doom grazie a “Oriental Masquerade”, ed è veramente il pandemonio!
Questo album personalmente mi ha fatto capire negli anni ’80 che il Metal può essere comunque una strada parallela al Progressive Rock, perché in esso transitano degli artisti che sfidano le regole, forse più dei Progghettari stessi! Personalmente la musica mi deve dare emozione, stupire e far pensare, non mi accontento solo di canzoni da canticchiare, vanno bene anche quelle, ma non ho piacere come l’ ho all’ascolto di dischi epocali come “Into The Pandemonium”, anche se non capiti o di facile assimilazione. MS


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