STORIA DELL'HARD ROCK
(Di Giancarlo Bolther e Massimo
Salari)
Anni fa, durante l’attesa di un concerto, ero vicino a due
ragazzi che parlavano degli Iron Maiden, alla fine della discussione uno disse
all’altro qualcosa del tipo: “… si però gli Iron Maiden non sono veramente
metal, loro sono più hard rock”. Questa affermazione, per me sorprendente, mi è
sempre rimasta impressa, perché i Maiden possono essere considerati come il
gruppo di punta della New Wave Of British Heavy Metal (detta in gergo anche
NWOBHM), ovvero il movimento che ha dato il via ufficiale all’heavy metal. È
vero che oggi troviamo nel circuito metal band che fanno una musica
esponenzialmente più potente e cattiva dei Maiden, ma cos’è l’hard rock? Con
questo speciale vogliamo tentare di raccontarvi la nascita e l’evoluzione di
questo particolare genere musicale che, nella storia della musica pop moderna,
è stato fra i più amati dal pubblico e al tempo stesso fra i più bistrattati e
snobbati dai media, da buona parte della critica “colta” e dai puritani del
suono. Eppure, pochi sono i generi musicali che hanno potuto vantare la
longevità e lo stesso seguito di appassionati dell’hard rock. Nel presente
articolo cercheremo di scavare più a fondo possibile nei suoi vasti meandri,
per arrivare idealmente fin verso i primi anni ‘80, con qualche rapido accenno
ai tempi odierni, facendo una specie di gioco di rimando alle due sponde
dell’Atlantico, con la consapevolezza che non riusciremo a ricordare tutti i
gruppi e nemmeno ad esaurire tutti gli aspetti (non vuole essere un articolo
enciclopedico), per cui ci scusiamo per tutte le possibili lacune e vi saremo
davvero grati se avrete la pazienza e la cortesia di volercele eventualmente
segnalare. Buona lettura.
L’hard rock si è sviluppato principalmente in America e in
Inghilterra, com’è noto la prima è stata la culla del rock, il paese dove tutto
ha avuto inizio, la seconda però non ha vissuto di riflesso ed ha partorito
alcuni dei gruppi più influenti di tutto il movimento, mentre gli altri paesi
per lo più sono rimasti a guardare, con pochissime, seppur valide, eccezioni.
C’è sempre stata una forte rivalità fra le due sponde dell’Oceano, quando si
parla di hard rock tutti pensano subito alla triade Led Zeppelin, Deep Purple e
Black Sabbath, che è tutta inglese, ma anche in America troviamo una triade
importante composta da Aerosmith, Kiss e Blue Öyster Cult. Il fenomeno musicale
è stato molto più complesso di quanto potrebbe apparire, in parte a causa di
una genesi articolata e in parte per tutti i sottogeneri e le ramificazioni che
questo tipo di musica col tempo ha prodotto, per cui se è vero che ci sono
fattori comuni fra i vari gruppi, come l’abbondante uso della distorsione nei
suoni, è anche vero che sono molte di più le singole peculiarità. Per fare una
carrellata di esempio possiamo citare i seguenti sottogeneri: dark, prog, glam,
boogie, southern, AOR, kraturock, psichedelia, space, folk…, tutti molto
diversi tra loro, ma tutti con caratteristiche proprie che li distinguono dagli
altri, per cui non si può certo dire che il sound blues dei Mahogany Rush suoni
come quello acido e rivoluzionario degli Edgar Broughton Band, che il boogie
rock dei Bad Company assomigli al songwriting visionario degli Atomic Rooster,
che i pomposi Queen siano accostabili ai progressivi Gravy Train, che i
seminali ed epici Dust abbiano qualcosa in comune col funky degli sperimentali
Trapeze, che gli spaziali Hawkwind siano paragonabili al southern rock dei
Lynyrd Skynyrd, che i campioni di melodia Boston abbiano lo stesso impatto dei
ruvidi Lucifer’s Friend, così pure il folk irlandese degli Horslips è
radicalmente diverso dal proto punk degli spregiudicati New York Dolls e così
via. Tutti fanno hard rock, ma tutti hanno un’identità diversa, forte e ben
definita.
La vitalità dell’hard
rock è derivata senza dubbio dalla sua capacità di trasformarsi, di
contaminarsi e rinascere ciclicamente, fino ad arrivare ai giorni nostri in
piena salute. Infatti se da un lato ci sono i vecchi leoni che continuano a
ruggire, dall’altro sono molti i giovani artisti che si rifanno a sonorità che
possiamo definire “datate” o, se preferite un termine alla moda, “vintage”. Da
alcuni anni è nato spontaneamente tutto un movimento, ancora molto uderground,
di gruppi che suonano musica in pieno seventies style. E molti musicisti vengono
da band di metal estremo, come un ideale percorso all’indietro.
Di certo figli dell’hard rock sono il grunge di Nirvana,
Soundgarden e Pearl Jam e lo stoner di Kyuss, Fu Manchu, Spiritual Beggars e
Orange Goblin, ma anche moltissimo crossover e praticamente tutta la scena
alternative degli anni ’90 a partire dai Jane’s Addiction per arrivare fino ai
Rage Against The Machine può essere considerata come la naturale evoluzione del
genere. Sempre negli ultimi anni sono emerse band come Placebo, Skunk Anansie,
HIM, Cranberries, Muse, Rasmus, che hanno avuto successo suonando un rock
decisamente “duro”.
In tutto questo discorso non abbiamo ancora accennato al
punk, il movimento musicale e politico che alla fine degli anni ’70 ha generato
un vero e proprio tsunami nella scena musicale mondiale. Come tutti sanno, il
punk ha scardinato tutti i grandi gruppi storici, che apparivano ormai spompati
e privi di idee, spesso stritolati da logiche più commerciali che artistiche,
ma anche questo genere, nelle sue forme più ruvide, ha pescato a piene mani
nella tradizione hard rock, tanto che i Sex Pistols, i padri indiscussi del
punk, sono considerati ai limiti del genere, mentre i Motorhead, icona metal
per antonomasia, figuravano insieme alle Girl School nelle prime compilations
punk. Negli anni a venire poi ci saranno gruppi figli del punk e di certa new
wave che torneranno a sonorità prettamente seventies, come hanno fatto ad
esempio i Cult dell’album Love e più ancora con Electric o i Lords of the New
Church di Method to Our Madness, e ancora i Mission, gli Hoodoo Gurus e Zodiac
Mindwarp, ma questa è un’altra storia.
ATTO PRIMO. LA NASCITA DEL MOVIMENTO,
IL SUONO SI FA “DURO”
Facciamo un piccolo passo indietro. Negli anni ’50 prende
sempre più forma una nuova classe sociale, quella dei “teenagers”. Bisogna
sapere che prima di allora i teenagers non esistevano, nel senso che non si
parlava di loro e dei loro problemi. Con l’avvento dell’industrializzazione i
giovani hanno cominciato ad avere sempre più tempo libero (prima si andava a
lavorare a undici dodici anni) e questo fenomeno ha preso rilievo con il boom
economico di quegli anni. Da un lato i giovani hanno assunto una nuova
consapevolezza e si sono aggregati in gruppi sempre più grandi, da un altro
lato il mondo “adulto” ed economico ha cominciato ad accorgersi di loro e a
considerarli come una risorsa e un possibile business. Hanno cominciato a
diffondersi nuove mode e nuovi linguaggi musicali, per i giovani aggregarsi e
suonare è stato un fenomeno in rapida espansione. Con il passare degli anni
questo fenomeno si è amplificato sempre più.
All’inizio degli anni ’60 spadroneggiavano i grandi folk
singer alfieri del pacifismo come Pete Seeger, Joan Baez, Bob Dylan, Phil Ochs,
Donovan, che avevano portato i giovani ad appassionarsi di politica, c’era la
guerra in Vietnam, che tanto peso aveva avuto sull’opinione pubblica, mentre la
gente comune ormai si stava rendendo conto che il bel sogno americano degli
anni ’50 era rimasto tale e la disillusione, mista ad un peggioramento
progressivo del tenore di vita di alcune classi sociali, aveva prodotto nel
tessuto sociale un crescente malcontento.
Le tensioni hanno portato i giovani ad ascoltare musica
“nuova”, più aggressiva, arriva il beat con gli “urlatori”, e in questo caso è
stata la scena inglese che ha preso il soppravvento con Yardbirds, Rolling
Stones, The Who, Kinks, Them, che iniziano a scardinare con prepotenza il canonico
pop edulcorato del tempo.
Non secondario nel diffondere il rock è stato
l’atteggiamento repressivo espresso dall’establishment americano negli anni
‘60, che vedeva nel nascente movimento musicale un pericoloso veicolo di idee
trasgressive, ma questo di fatto ha spinto ancor più a fondo l’acceleratore
ottenendo l’effetto opposto, cioè ha favorito una diffusione sempre più rapida
del movimento musicale.
La protesta, inizialmente cavalcata dai folk singer, che per
lo più proponevano ballate melodiche in chiave acustica, verso la metà degli
anni sessanta comincia a tradursi in suoni elettrici scarni ed essenziali, che
presto diventano decisamente duri. Questo inasprirsi ovviamente rendeva meglio
l’idea stessa di protesta, una vera e propria valvola di sfogo e una forma di
denuncia, che con tutta probabilità ha permesso a molti giovani di manifestare
la propria rabbia attraverso la musica piuttosto che con altre espressioni più
pericolose (che comunque negli anni a venire non sono mancate). L’avvento del
rock “elettrificato” segnò in buona parte la fine dell’epoca dei folk singer e
Bob Dylan fu il primo ad accorgersene. In musica presero sempre più piede le
vibrazioni elettriche, che gridavano il disagio dell’individuo ed esprimevano
una profonda contestazione per aver visto disattese le speranze di quella vita
spensierata e pacifica promessa dai media negli anni ’50, ma nei fatti mai
concretizzata. Anche il grande raduno di Woodstock ha cambiato profondamente le
cose. Per qualcuno è stato l’inizio di una nuova era, ma qualcun altro vi ha visto
un enorme pericolo. Non era mai successo che tanti giovani si riunissero
insieme e non si trattava solo di musica, in campo c’era una profonda
contestazione del sistema sociale e soprattutto di quello economico, sembrava
più un raduno politico-religioso che non di mero intrattenimento musicale.
L’impegno politico diretto nei testi delle canzoni comunque inizia pian piano a
sfumare e lo spirito di protesta viene affidato più all’impatto sonoro che non
ai contenuti. I testi si fanno più egocentrici, al centro non esiste che
l’“Io”. Col passare degli anni i riferimenti nelle canzoni si fanno sempre più
espliciti e toccano primariamente argomentazioni sentimentali e sessuali.
Curioso è che in quasi ogni disco, accanto ai brani “muscolosi” non mancassero
delle bellissime ballate strappacuore, i cosiddetti “lenti”.
Queste tendenze nate in America ebbero facile presa anche
sull’altra sponda dell’oceano, dove si erano create sacche di emarginazione
nelle classi operaie senza lavoro, vittime della “rivoluzione industriale”. Il
movimento musicale inglese prese talmente forza che si iniziò a parlare di
British Invasion, riferendosi al successo riscosso dai gruppi inglesi nella
patria culla del rock, ribaltando in un certo senso il flusso musicale. Questo
ideale conflitto culturale tra giovani è ben testimoniato dal famoso film
Quadrophenia, con le indimenticabili musiche degli Who.
Se questa è stata la genesi “sociologica” del movimento c’è
anche quella più prettamente musicale. La radice prima dell’hard rock è la stessa
del rock più in generale, quindi si tratta di un misto di folk e di blues,
portati all’esasperazione dall’amplificazione degli strumenti. Si può
certamente affermare che le basi su cui in seguito si svilupperà il suono
“duro” sono rintracciabili nella scena blues delle grandi città industriali del
Nord America come Detroit (omaggiata dai Kiss con il cavallo di battaglia
“Detroit Rock City”) e Chigago, dove sono emersi alcuni artisti molto
innovativi come Bo Diddley e John Lee Hooker, che diedero vita ad un blues
“sporco” e carico di elettricità. Questi artisti battevano sul beat, sul tempo,
enfatizzando la parte più ritmica. Il cambio di sound è stato influenzato con
molta probabilità dalle difficili condizioni sociali e dalle tensioni che si
sono acuite in quelle zone, non a caso proprio da Detroit partiranno alcuni dei
gruppi più “cattivi” e “politicamente scorretti” di sempre come MC5, Stooges,
Grand Funk Railroad e gli Amboy Dukes del selvaggio Ted Nugent, senza
dimenticare il grande istrione Alice Cooper.
ATTO SECONDO: LA RINCORSA FRA LE DUE
SPONDE DELL’OCEANO
In Inghilterra intanto fra i giovani comincia a diffondersi
l’amore per il blues e molti musicisti ne subiscono il fascino. Sorta di guru e
catalizzatore di talenti è John Mayall, che ha lanciato quasi tutti i più
grandi musicisti di quel periodo. Nasce il blues bianco. Fra i primi a fare
tesoro delle intuizioni di questi artisti blues ci sono gli Yardbirds, vera
fucina di talenti, non a caso hanno avuto in formazione chitarristi epocali
come Eric Clapton (che avrà il grande onore di vedere il suo nome accanto a
quello di Mayall sullo storico album del 1966), Jimmy Page e Jeff Beck. Il loro
primo album The First Recordings esce su etichetta L+R Records nel 1963.
Seguono i famigerati Rolling Stones del primo album omonimo, che vede la luce
il 14 aprile del 1964 su etichetta Deram ed è un vero spartiacque. Cambiano le
regole del gioco, anche se non è ancora il via ufficiale al movimento, perché è
difficile stabilire con esattezza la nascita dell’hard rock. Le orchestrazioni
armoniose delle big band e dei grandi ensambles lasciano il posto a gruppi di
massimo cinque o sei elementi, gli arrangiamenti diventano sempre più scarni ed
essenziali. Oltre ai già citati Rolling Stones si fanno strada con forza i
rivali Kinks, che sul primo album omonimo pubblicato il 2 ottobre del 1964 su
etichetta Pye piazzano l’epocale “You Really Got Me”, la band spopola in
patria, tuttavia la crudezza dei testi spesso molto espliciti, ma talvolta
anche poetici come in “David Watts”, testi che trattano di argomeni spinosi
come ad esempio l’omosessualità, fa del gruppo la band più “politically
uncorrect” dell’epoca, impedendo di fatto al gruppo di Ray Davies di contendere
agli Stones la palma di miglior gruppo rock del decennio. Poi ci sono gli Who
dell’inno “My Generation” edita sull’omonimo album pubblicato il 3 dicembre del
1965 su etichetta Brunswick. Altra band rivoluzionaria, i loro dischi sono
intramontabili, ma molto importante è anche l’atteggiamento fisico, l’energia
sprigionata ai concerti, l’approccio sul palco, i salti dello stesso
chitarrista, la distruzione sistematica degli strumenti e tante altre gesta
scatenate, che hanno cambiato il modo di essere musicista rock. Sin dal nome si
mette in discussione un’intera generazione, nascono i Mods, Peter Meaden (che
nel 1964 è il loro manager) dichiara in una intervista: “Essere Mod è cercare
di vivere al meglio, anche quando le circostanze e gli eventi ti sono avversi”.
Il film “Quadrophenia” è il rock, l’Lp “My Generation” è l’emblema di una
generazione, la rabbia degli Who è hard rock nella sua essenza più pura. È una
rivoluzione caotica, disordinata, proprio perché di vera rivoluzione si tratta
e non ci sono regole, anzi la vera regola è infrangere tutte le regole, ogni
band sperimenta a modo suo i nuovi suoni, la distorsione viene prodotta “in
casa”, non c’erano ancora le diavolerie che oggi la tecnologia mette a
disposizione dei musicisti, tutti si dovevano arrabattare in qualche modo per
creare i suoni che stavano prendendo piede, non solo fra i giovani musicisti,
ma soprattutto nei gusti del pubblico. L’11 maggio del 1966 esce il debutto
omonimo degli Small Faces su Decca, altra band Mod per antonomasia. Del gruppo
fa parte Steve Marriott, che più avanti fonderà i grandi Humble Pie insieme a
Peter Frampton. Il 9 dicembre 1966 su etichetta Polydor arriva Fresh Cream, il
primo album dei Cream, praticamente il primo “supergruppo” del rock ed anche
uno dei più formidabili power trio di sempre, alla chitarra ritroviamo Eric
“Slow Hand” Clapton, al basso c’è l’ottimo Jack Bruce e alla batteria c’è
l’eccezionale Ginger Baker.
Anche i Beatles, con qualche anno di ritardo, danno il loro
bravo contributo al nuovo genere con l’asprezza sorprendente di “Helter
Skelter” del famigerato White Album, pubblicato il 22 novembre del 1968 su
Apple. Paul era rimasto molto impressionato dall’ascolto di I Can See For Miles
degli Who, pubblicata l’anno prima, così volle sperimentare a sua volta l’energia
di quel nuovo sound definito come “ un concentrato di suoni caotici”. Altri
nomi di spicco sono quelli dei Them di Van Morrison e, in modo minore (per
l’hard rock), i melodici ma essenziali Procol Harum. Poi come dimenticare i
Frost, ma durarono troppo poco.
Il blues “sporco” diventava rock blues e i giovani musicisti
dell’epoca compongono brani retti su riff di organo o di chitarra ripetuti
ossessivamente. La scena del cosiddetto “blues bianco” o “british blues”
capitanata da John Mayall cresce a dismisura sull’impulso di formazioni come
gli Animals di Eric Burdon, dei Ten Years After di Alvin Lee, dei Taste di Rory
Gallagher, e ancora i Fleetwood Mac di Peter Green, i Flamin’ Groovies, i Savoy
Brown, i Groundhogs, mentre sull’altra sponda dell’oceano Atlantico si risponde
al fuoco con i fratelli Johnny ed Edgar Winter in compagnia di Rick Derringer,
i Mountain del mastodontico Leslie West (detti anche i Cream Americani), poi
ancora Allman Brothers Band, Randy Holden, gli Zephyr di Tommy Bolin (il grande
chitarrista di origini pellerossa, che per primo ha avuto l’onere di sostituire
Ritchie Blackmore nei Deep Purple).
Con la British Invasion la vecchia Gran Bretagna sembra
battere ai punti i giovani States, in una rincorsa appassionante, perché negli
USA non mancano gruppi epocali come i Creedence Clearwater Revival, di John
Fogherty, che canta con una ruvidezza inedita, come gli Iron Butterfly, che con
il disco d’esordio “Heavy” (nome profetico) pubblicato dalla Atco nel 1968 e
ancor più con i diciassette minuti di “In A Gadda Da Vida”, title track del
disco successivo uscito lo stesso anno, dettano i canoni della nuova strada da
intraprendere. A San Francisco troviamo i vulcanici Blue Cheer che propongono
un suono sporco e grezzo, prodotto dalla chitarra, torturata a tutto volume da
Leigh Stephens. Il trio in questione nel 1967 fa dell’eccesso uno stile di
vita, dando al rock un significativo cambiamento, mentre il disco d’esordio
Vicebus Eruptum è una vera scossa tellurica, tra l’altro presenta una versione
irresistibile del classico Summertime Blues. A New York ci sono i Velvet
Underground di Lou Reed e John Cale, band molto sperimentale ed intellettuale,
considerata proto punk per eccellenza. Il loro secondo album White Light White
Heat, edito il 30 gennaio 1968 su Verve Records e realizzato in collaborazione
col geniale Andy Warhol, è un capolavoro assoluto del rock, da notare in
particolare la forza della loro immagine, siamo in pieno flower power, una
grande esplosione di colori e loro si presentavano vestiti di nero in aperta
controtendenza. Dal Canada arrivano i selvaggi Steppenwolf del tedesco John
Kay, poi trasferitisi sulla sponda orientale degli States a San Francisco. Sono
stati una delle band più influenti e alcuni loro brani sono dei veri classici.
Da ricordare in particolare che nella loro canzone “Born To Be Wild” del loro
terzo singolo del 1968 esce il neologismo “Heavy Metal”, che in precedenza era
apparso nel racconto Soft Machine del 1962 di W.S. Burroughs e poi ancora nel
1964 in Nova Express, ma di questo parliamo più avanti. Inoltre negli USA ci
sono degli importanti gruppi di rottura come gli MC5 e gli Stooges di Iggy Pop.
I suoni sono durissimi, molto acidi, si parla anche in questo caso di proto
punk e almeno il primo album Kick Out the Jams degli MC5 è un vero manifesto
politico, un impegno che scomparirà con disco seguente e che porterà la band ad
un prematuro scioglimento, nonostante il grande successo iniziale. Poi ci sono
i Mountain, la band del possente chitarrista Leslie West, di vita breve (anche
se si sono più volte riformati), ma che hanno prodotto una serie di veri
gioielli sonori, erano chiamati i Cream americani per l’amicizia con Jack
Bruce. Non a caso, dopo lo scioglimento West formerà, assieme agli amici Corky
Laing e Jack Bruce, un’altra delle icone dell’hard rock: i West, Bruce &
Laing. Sempre a New York troviamo i Vanilla Fudge, che nel ’66 rileggono in
chiave nuova grandi successi di altre band come i Beatles, ma il boom arriva
con la pubblicazione in chiave hard rock di You Keep Me Hangin’ On delle
Supremes.
Ma tutto prende una violenta accelerazione quando il 16 dicembre
del 1966 esce il singolo Hey Joe della The Jimi Hendrix Experience capitanata
appunto da tale Jimi Hendrix, il guitar hero per eccellenza. Il 12 maggio del
1967 esce l’album Are You Experienced, si tratta di uno dei dischi più
importanti e influenti del rock. Hendrix è uno dei rari musicisti di colore a
suonare rock, ed è considerato come il padre putativo dell’hard rock. È bene
chiarire che l’hard rock non nasce (solo) con lui, ma dall’indimenticabile
chitarrista afroamericano si eredita l’approccio tutto nuovo allo strumento,
tanto che girano varie leggende sui commenti dei grandi guitar heroes
dell’epoca, che restavano ammutoliti davanti alle performance di questo
introverso ragazzo di colore, che sul palco arriverà addirittura ad incendiare
letteralmente la sua sei corde in un suggestivo rito sacrificale. Questo
indimenticabile figlio dei fiori stabilisce un rapporto fisico con la sua
chitarra, la distorsione viene portata all’estremo, l’uso violento che egli
propone mette in luce un nuovo modo di concepire il rock ed il blues. Proprio
il lamento metallico, quasi raccapricciante, che si produce durante la
distruzione, può essere considerato come il primo vero vagito dell’hard rock.
Purtroppo la carriera folgorante di Jimi, il genio della chitarra, si spegne
prematuramente e molto misteriosamente. La causa ufficiale è l’abuso di quelle
maledette sostanze che tante vittime hanno fatto nel mondo del rock. Ci sono
anche ipotesi controverse e comunque la sua morte rimane un vero mistero.
Sull’esempio di Jimi i chitarristi Jeff Beck, Eric Clapton, Alvin Lee, Jimmy
Page, Ritchie Blackmore iniziano a lavorare su nuovi suoni. L’organo hammond,
tanto caro e indispensabile negli anni ’60, pian piano cede il passo alla
chitarra Fender e il chitarrista diventa la figura simbolo e vero leader del
gruppo.
Se questa è
l’evoluzione dei “grandi” gruppi, non dobbiamo dimenticare l’importante
contributo dei cosiddetti “minori”. Allora via al garage rock coi seminali
Music Machine (anche loro vestono di nero), il cui unico disco Turn On the
Music Machine del ’66 è un vero must. I riff sono per lo più sostenuti
dall’hammond, ma sono secchi e ossessivi, tanto che potremmo parlare di proto
hard rock, bellissima la loro versione di Hey Joe. Poi ancora come non
ricordare gli Shadows of Knight, i Misunderstood, i Litter, gli SRC, gli Zior e
una miriade di altri gruppi oggi dimenticati da molti, ma autori di dischi
veramente belli. Tutte queste band iniziano a sperimentare e definire la distorsione
del suono, dando un contributo molto importante. Una band sperimentale che ha
avuto un forte impatto sono stati i Love di Arthur Lee, uno dei chitarristi più
innovativi dell’epoca. Nel loro disco di esordio omonimo, datato ’66 compare
un’altra splendida versione di Hey Joe. Anche loro in bilico tra garage e
psichedelia acida, con un sound tagliente e molto duro. Altra band molto
importante sono stati gli Argent di Rod Argent (ex Zombies) e dell’hit maker
per antonomasia Russ Ballard (cercate il suo disco Barnett Dogs, hard rock di
gran classe), le loro linee armoniche saranno la base di molte formazioni, in
particolare avranno un notevole influsso sul pomp.
Sempre fra i “minori” si possono annoverare talenti
notevoli, a cui poi il tempo ha reso un po’ di giustizia. Sul fronte inglese
troviamo per esempio formazioni come gli Andromeda del chitarrista cantante
John DuCann, il quale dopo il disco omonimo “Andromeda” (RCA-1969), andrà a
militare nelle file dei più considerati Atomic Rooster e poi ancora nei
durissimi Hard Stuff. Nel disco si possono ascoltare ottime intuizioni, molta
chitarra con riff Hendrixiani e della psichedelia. In definitiva un lavoro di
hard prog. Un discorso analogo si potrebbe affrontare anche con il leggendario
gruppo High Tide, proveniente si dal progressive rock a tinte dark, ma in
possesso di una durezza sonora davvero sconcertante, ottenuta tra l’altro con
un uso rivoluzionario del violino. E’ proprio lo strumento di Simon House a
tessere melodie oscure, mentre la pesantezza viene relegata alla chitarra
elettrica di Tony Hill, che già aveva dato dei segnali importanti coi
precedenti Misunderstood. I due dischi prodotti, “Sea Shanties” (Liberty-1969)
e “High Tide” (Liberty-1970), sono dei veri capolavori, gli altri titoli
disponibili sul mercato sono tutti postumi. Mentre negli USA fra i “minori”
troviamo gruppi eccezionali come i Dust e i Bang, autori di vere gemme anche se
commercialmente sfortunate.
Tornando ai nomi più noti, una menzione a parte merita uno
dei chitarristi più influenti di sempre: Jeff Beck degli Yardbirds, che
rifiuterà qualsiasi compromesso commerciale (clamoroso il suo rifiuto di
entrare nei Rolling Stones) per portare avanti le sue idee, con una carriera
solista irreprensibile, anche se non sempre ricca di soddisfazioni economiche.
Insieme al grande Rod Steward e successivamente con la band Beck, Bogert and
Appice, scriverà delle pagine veramente indimenticabili. Negli States, invece,
è stato un chitarrista molto influente Rick Derringer, che aveva fatto fortuna
al fianco dei fratelli John ed Edgar Winter, ma anche da solista ha creato veri
gioielli, spesso venati di hard blues.
Altro elemento di spicco, come abbiamo detto, sono stati i
cantanti, che hanno fatto la fortuna di molte formazioni. Cosa sarebbero stati
i Deep Purple senza Ian Gillan, i Led Zeppelin senza Robert Plant o i Queen
senza Freddy Mercury? Uno dei primi singer con la voce perfetta per il genere
che stava nascendo è stato John Fogerty dei Creedence Clearwater Revival. La
sua voce roca e graffiante prendeva nettamente le distanze dai cantanti rock
pop dell’epoca. Poi c’è stata la personalità di artisti come Iggy Pop e Alice
Cooper, ma queste considerazioni ci porterebbero troppo lontano. Comunque
vogliamo citare un altro singer fondamentale Bob Seger, la cui voce roca sarà
un punto di riferimento per Bruce Springsteen. Seger si approssima
stilisticamente a gruppi come Grand Funk Railroad, pur senza eccessivi
riconoscimenti di vendite. Solo verso la metà degli anni ’70 raggiunge a pieno
la maturità artistica ed il giusto successo commerciale.
Altro genere musicale fondamentale, a cui abbiamo accennato,
è stata la psichedelia, che ha avuto un’influenza meno diretta del beat e del
garage, a livello di impatto sonoro, ma la sua importanza si è espressa a
livello compositivo ed esecutivo. Le lunghe jam session improvvisate di Deep
Purple e Led Zeppelin probabilmente non ci sarebbero state senza le intuizioni
di Grateful Dead, Jefferson Airplane, Quicksilver Messenger Service, Spirit e
del visionario Syd Barrett dei Pink Floyd. In questo mondo di eccessi non
vengono meno le droghe, ereditate proprio dai movimenti psichedelici del
periodo. L’abbondante uso di LSD fu spesso il pretesto per la composizione di
brani stralunati, ma quello che era sembrato un paradiso artificiale si
dimostrò presto un vero inferno con l’arrivo dei primi decessi illustri. La
deriva autodistruttiva prese inizio al maledetto concerto di Altamont del 1969
dove venne ucciso Meredith Hunter per mano di un membro del personale della
sicurezza formato dagli Hells Angels. I sogni di pace e amore si spengono
bruscamente e finisce un’epoca.
ATTO TERZO: IL MOVIMENTO DILAGA
C’è voglia di superare ogni limite e fra coloro che amano
gli eccessi ci sono gli inglesi Humble Pie, che prendono in consegna le
sonorità anni ’60 e le trasformano per i ’70. Persino l’atteggiamento rissoso
di quel periodo da parte dei giovani viene fuso nel suono della band. La
personalità è ovviamente forte, così come la voce calda di Marriott e l’oscura
chitarra di Peter Frampton. Saranno “Only A Roach’ Earth And Water” e “The Light”
tratti dall’ottimo “Humble Pie” (A&M-1970) a dettare loro la strada
dell’hard rock.
Verso la fine degli anni ’60 questo movimento sonoro
innovativamente violento inizia a spargersi a macchia d’olio, accorrono anche
tipi poco raccomandabili, come il “signore delle tenebre” Ozzy Osbourne. I suoi
Black Sabbath hanno un suono mai sentito fino ad ora e questo per merito della
chitarra pesantissima di Tony Iommi, una John Diggins JD. La tecnica limitata
della band fa si che tutto si basi su riff semplici, granitici e ripetitivi. Il
tocco di Iommy è unico a causa della mancanza di alcune falangi della mano
perse in un incidente, mentre la voce di Ozzy è sgraziata ma terribilmente
suggestiva. Mai prima di allora c’era stato un tale connubio fra tematiche
oscure e suoni sepolcrali, il movimento del dark rock è nato alcuni anni prima
del debutto dei Black Sabbath, ma la forza evocativa del sound di questa band
ha fatto breccia nel pubblico, divulgando contenuti altrimenti poco accettati.
Curioso il fatto che la band abbia scelto di munirsi di enormi crocefissi per
difendersi in qualche modo dalle energie negative che avevano evocato.
Nello stesso periodo dilaga anche un altro genere musicale
diventato col tempo sempre più importante, il colto rock progressivo di Genesis,
King Crimson, Van Der Graaf Generator, Jethro Tull, Yes e Pink Floyd. Molti di
questi gruppi hanno sperimentato la distorsione, in particolare i King Crimson,
che hanno prodotto alcuni degli album più duri del prog. Anche i Jethro Tull
del menestrello Ian Anderson sperimenteranno suoni molto duri, si pensi ad
Acqualung. Comunque per lo più il progressive si è distinto per eleganza, con
magnificenti spettacoli dal vivo, molto colorati ed interpretativi.
Diametralmente opposti i concerti dell’hard rock, scarni di scenari e
focalizzati principalmente sul carisma del chitarrista o del cantante. Di
questi il più sensuale ed ammaliante è sicuramente Robert Plant, leader dei
famigerati Led Zeppelin, per meglio dire la storia dell’hard rock. Cosa
aggiungere su questa band che non sia stato già detto? Credo più nulla, se non
forse sottolineare il modo violento ed inusuale per i tempi, con cui John
Bonham percuote la batteria. Il duo Plant-Page ha un’intesa inverosimile e le
loro composizioni sono a dir poco variegate, a volte molto blues, melodiche e
sensuali per poi lasciarsi andare quasi all’improvviso in cavalcate hard di
rara potenza.
Ma il guitar hero per eccellenza del tempo porta il nome
dell’americano Ted Nugent. Proveniente dagli Amboy Dukes si produce in assoli
elettrici a dir poco tirati, tutti dotati di stupefacente energia. Diventa
personaggio influente e questo lo riscontriamo ad esempio in gruppi come il
trio Highway Robbery. Michael Stevens è il chitarrista e compositore dei pezzi,
tutti potenti e ruvidi, un hard rock a tratti feroce per questo periodo. Anche
grazie a lui il genere prende una determinata fisionomia. Rimanendo in tema di
chitarristi d.o.c. arriviamo inevitabilmente a Ritchie Blackmore. La tecnica
dimostrata è sopraffina, la sua band proveniente nientemeno che dal prog e ha
lo storico nome di Deep Purple. Il suono propostoci è particolare, molto
barocco e neoclassico, grazie anche all’apporto dell’Hammond di John Lord, ma
sono le tre scarne note di “Smoke On The Water” (1972), ad essere la vera icona
dell’intero movimento, tre sole note molto facili da strimpellare e che si
stampano subito in testa dopo un solo ascolto. Rock duro e tecnica eccellente
sono dunque l’arma vincente di questa band, ma c’è anche un cantante dalla voce
incredibile dal nome Ian Gillan. I Deep Purple sono una delle poche band ad
essere sopravvissute fino ai giorni nostri, anche se la formazione è stata
continuamente rimaneggiata, con una discografia molto dignitosa. Nei Purple ha
militato per un certo tempo come bassista il grande Glenn Hughes, che merita
una menzione. Il nostro in realtà è un cantate eccezionale, ribattezzato “the
Voice of Rock”. Aveva tentato fortuna coi Trapeze, insieme a Mel Galley e Dave
Holland, una band che aveva fuso il funky all’hard rock. Hughes poi ha dato
vita ad una lunga carriera solista che arriva sino ai giorni nostri, costellata
di ottimi dischi. Da ricordare anche la sua collaborazione coi Black Sabbath
per Seventh Star e sfociata poi sui bellissimi album a nome Iommi.
A proposito dei grandi non possiamo non ricordare la band di
Freddie Mercury, i pomposi Queen. I primi dischi da loro prodotti sono
assolutamente hard rock e della miglior pasta, poi sappiamo tutti il percorso
che il quartetto ha intrapreso in seguito, con successi planetari annessi, ma
sempre meno hard rock. A questo punto la storia scorre velocemente, come avrete
capito è davvero difficile fare una cronologia perfetta. I semi cominciano a
dare i frutti, ecco allora spuntare dappertutto band di inestimabile valore,
come Uriah Heep, Atomic Rooster, Blue Öyster Cult, ZZ Top, solo per fare
qualche nome.
Gli Uriah Heep sono una band inglese che ha avuto un
successo planetario, raggiungendo perfino la Russia e hanno venduto nella
carriera più di 40 milioni di album. I primi passi vengono fatti dal
chitarrista Mick Box e dal cantante David Byron nel 1966 sotto il logo Spice.
Nel 1970 la line up si stabilizza temporaneamente con Paul Newton (basso), Alex
Napier (batteria) e Ken Hensley (tastiere). Il disco d’esordio del Giugno 1970
“Very ‘eavy, Very ‘Umble” (Vertigo-1970) viene accolto malamente dalla critica,
a dir poco viene stroncato, ma il pubblico riserva loro ben altre
soddisfazioni. Gli album a seguire tratteranno di argomentazioni legate alla
mitologia ed il 1972 sarà senza dubbio il loro anno più prolifico a livello
d’ispirazione.
Una delle formazioni più influenti e meno ricordate sono
stati i gallesi Budgie, autori di un hard rock selvaggio, hanno dettato gli
stilemi ripresi anni più tardi dagli alfieri della NWOBHM. Ascoltate la canzone
"Breadfan", il ritmo veloce accompagnato da un heavy blues
trascinante è stato di ispirazione per molte band fra cui Iron Maiden, Judas
Priest e Metallica, che ne hanno fatto una cover. Tra l’altro pare siano stati
il primo gruppo hard rock occidentale a suonare oltre la cortina di ferro.
Facciamo ora un piccolo passo indietro per occuparci
nuovamente di sonorità sulfuree. Non solo Black Sabbath nell’hard rock, ci sono
in giro anche altri personaggi “particolari”, fra i quali spicca il nome di
Alice Cooper. Questo prende il nome da una strega realmente esistita e bruciata
viva a Salem dai puritani. Gli spettacoli dal vivo proposti hanno fatto storia.
Sangue, situazioni crude e violente, serpenti e suore nude, fanno parte del
baraccone. Ma quello che Alice crea è il face-paint, il viso pitturato di
bianco con occhi neri disegnati, una rivoluzione che apre una nuova serie di
proseliti. Da notare che tra i primissimi gruppi (forse il primo in assoluto)
ad usare il trucco facciale figurano gli italianissimi Osanna, seguiti poi dai
Genesis di Peter Gabriel. Successivamente saranno moltissimi altri artisti che
svilupperanno questa idea, come i Kiss, fino a giungere ai giorni nostri con
miriadi di gruppi black metal.
Proprio i Kiss agli inizi degli anni ’70 giocano con il
trucco ed inventano personaggi. Paul Stanley è l’uomo sexy, Gene Simmons il
vampiro, Ace Frehley l’uomo venuto dallo spazio e Peter Criss l’uomo gatto.
Fuochi pirotecnici, pedane che si alzano, ancora sangue e luci, tante luci
fanno degli spettacoli dei Kiss un appuntamento veramente unico ed
indimenticabile. Come per Alice Cooper, uno dei pochi casi in cui l’hard rock
si arricchisce con l’immagine.
In Inghilterra comunque troviamo il duca bianco, David
Bowie, insieme a Marc Bolan dei T-Rex (in precedenza Tyrannosaurus Rex) che
puntano molto sull’immagine, il primo poi con i suoi Spiders From Mars, sarà
uno dei musicisti più influenti di tutta la scena inglese. Con loro nasce il
glam, movimento molto romantico, ma anche pieno zeppo di eccessi. Purtroppo per
Marc questi saranno fatali: morirà nel ’77 a causa di un incidente stradale.
Ma non solo America ed Inghilterra, infatti il genere prende
campo anche in altri luoghi fra cui la lontana Australia. I fratelli Malcom ed
Angus Young propinano uno spettacolo diametralmente opposto a quello milionario
dei Kiss, Bon Scott è un buon animale da palco, ma è il chitarrista indiavolato
Angus Young a catalizzare l’attenzione sugli AC/DC. Niente scene incredibili,
solo tanto sudore e Angus vestito da scolaretto che scorrazza per il palco
dimenando continuamente il capo (come diamine farà?). I riff sono vincenti, la
formula è scarna ed essenziale, grezza al punto giusto con tanto di ritornelli
da cantare assieme a squarciagola durante i concerti. Tuttavia è ancora la
droga a mietere l’ennesima illustre vittima e Scott se ne va. Gli AC/DC
proseguono il cammino inesorabilmente fino ai giorni nostri con la consueta
grinta, senza cambiare una virgola al sound e con Brian Johnson al microfono.
L’hard rock prosegue la propria evoluzione con naturalezza,
con gruppi che sapranno unire melodie incredibili a riff taglienti come gli
UFO, di Phil Mogg, Pete Way e Michael Schenker. La voce di Phil è fra le
migliori in circolazione (ancora oggi è calda è potente come se il tempo non
fosse passato), mentre il lunatico Schenker è sicuramente uno dei migliori
chitarristi che il panorama ci propone. Cosa dire poi degli Aerosmith?
Considerati da molti la più grande band di rock’ n’ roll del mondo, nei
seventies sono distanti da come li conosciamo oggi. Più sporchi, rozzi, cattivi
e drogati, rientrano a pieno merito nel vocabolario dell’hard rock. L’esordio
discografico del 1973 è limitato dall’inesperienza, ma lascia intuire le potenzialità
del quintetto capitanato dal carismatico Steven Tyler. Sono il perfetto esempio
di rock di successo: soldi, donne, droga ed alcol, uno stile di vita
assolutamente insostenibile, ma dannatamente hard rock.
Qualche volta a dominare la scena non è stato un chitarrista
ma un bassista, come nel caso dell’irlandese (mi piace che non si parli solo di
inglesi) Phil Lynott. La sua carriera è stata contrassegnata dall’amicizia con
Gary Moore, si conosceranno negli storici Skid Row (ovviamente non quelli di
fine anni ’80 capitanati dal bellone Sebastian Bach). Poi Phil darà vita ai
Thin Lizzy, una band epocale. Il dominio di Lynott all’interno della band porta
a diversi screzi, per cui i membri vicino a lui si allontanano per altre
strade, intercalandosi con nuovi, forse proprio per questo motivo che i Thin
Lizzy non riescono a sfondare sul mercato come avrebbero meritato. Molte band a
venire li hanno citati come importante influenza. Sono Irlandesi, con la
passione per il folk celtico, che andrà ad influenzare i primi lavori, a
partire dal 1970. La lunga carriera giunge fino al 1984 ed è ricca di buoni
frutti. Purtroppo nel Natale del 1985, Lynott collassa per poi spegnersi
definitivamente il quattro gennaio del 1986, un’altra vittima dell’eroina. I
Thin Lizzy sono stati un vero e proprio contenitore di grandi artisti. Ecco
alcuni nomi: Midge Ure (futuro Ultravox), Brian Downey (grande batterista),
Scott Gorham, Eric Bell, il già citato Gary Moore e Brian Robertson. Sempre
dalla romantica “isola verde” arrivano gli Horlips, un gruppo poco conosciuto
ma che ha scritto pagine di musica sublimi rileggendo i classici folk in chiave
hard rock.
Tornando in Inghilterra troviamo una band che fa uso
abbondante di chitarre elettriche in chiave boogie e rock ’n’ roll e che porta
il neonato hard rock nelle classifiche alte: gli Status Quo. La carriera
artistica è pressoché paragonabile a quella degli AC/DC, non si muovono di una
virgola dal proprio sound e dai loro immancabili jeans. Dice il chitarrista
Rick Parfitt del loro stile: “…Forse sono le nostre due chitarre che suonano
all’unisono a tirare fuori questo sound unico che abbiamo. Molti hanno tentato
di imitarci, ma se non vanno perfettamente insieme, il risultato non si
raggiunge”. Anche i Wishbone Ash usano due chitarre che suonano all’unisono,
creando un sound magico in un contesto più vicino al prog.
Tornando negli USA troviamo i Grand Funk Railroad (anche
loro dell’area di Detroit). È una delle band più rumorose dei primi anni ’70.
Il trio dà il meglio di sé durante i concerti. Notati nientemeno che da Paul Mc
Cartney, vengono messi sotto contratto dalla Capitol. Tuttavia il loro sound
troppo “Heavy” viene messo al bando anche dalle radio. Malgrado tutto le
vendite non mancano. Una curiosità, Mark Farner viene classificato dal pubblico
come il chitarrista con i capelli più lunghi del rock. Poi ci sono i James Gang
di Joe Walsh, una formazione baciata dalla fortuna commerciale, anche se sono
da ricordare solo i dischi del primo periodo. Da questa formazione è uscito il
leggendario Tommy Bolin (ex Zephir) che rimpiazzerà Blackmore nei Deep Purple.
Altra band di discreta popolarità sono stati i Bloodrock, nati nei primi anni
sessanta con diverso nome, pubblicano l’album omonimo di debutto nel 1970.
L’immagine era più forte della musica proposta, un heavy blues molto
psichedelico.
A metà anni ’70 i gruppi hard rock americani tendono però a
spostarsi verso sonorità più melodiche, che strizzano l’occhio alla classifica.
In realtà si tratta di prodotti di tutto rispetto, fatti con grande cura, ma
che si allontanano dai percorsi tracciati fin qui in questo articolo. Boston,
Foreigner, Toto, Journey, Balance sono alcuni nomi fra i primi che mi vengono
in mente. La cosa ha avuto anche un eco nella vecchia Inghilterra e i The Babys
del talentuoso cantante John Waite ne sono l’esempio più importante. Poi una
band fuori dagli schemi, ma che merita una menzione speciale ci sono i Cheap
Trick, col loro show multicolore, che in un contesto qualitativamente alto
proponeva le versioni parodistiche dei cliché tipici del macismo hard rock.
E le donne sono state a guardare? In un contesto talvolta
rozzo, macho e sporco, dove le donne erano viste più nel ruolo di groupie, è
evidente che spazio sul palco ce n’è stato poco, non tanto per l’impedimento
dei maschi ai quali, anzi non sarebbe certo dispiaciuta più presenza, quanto
per una scelta di fondo che vedeva nel maschio l’alfiere perfetto del rock.
Qualcuna comunque ci ha provato e con ottimi risultati. Ricordiamo la prima
band tutta al femminile: le Fanny, attive fin dal 1970, e con uguale piacere
Suzy Quatro con l’esplosivo lp “Quatro” (Bell-1974). Meritano una menzione
anche Bonny Tyler ed Ellen Foley, passate da coriste a lead singer. Poi come
dimenticare gli Heart delle sorelle Wilson. Ma anche la poetessa Patty Smith,
che poteva essere la lead singer dei Blue Öyster Cult, tra l’altro compare come
ospite nell’album Agent of Fortune del ’76. La Smith, pur non essendo proprio
hard rock, comunque ha avuto la sua influenza. Buone anche le carriere di Pat
Benatar, Lita Ford e Joan Jett, queste ultime due provenienti dalle The
Runaways e quella più bizzarra dell’ex pornostar Wendy O’ Williams, amica di
Lemmy Kilmister dei Motorhead, oggi purtroppo non più con noi. Poi una leggenda
narra che la patinata Diana Ross volesse fare dell’hard rock, ma che le fosse
stato vietato dalla casa discografica.
Un altro importante
tassello viene posto dai Free di Paul Rodgers (che sappiamo aver preso per un
periodo il posto del compianto Mercury nei Queen). L’hard blues proposto è
importante, “All Right Now” ha un riff che ha molto contribuito all’evolversi
del movimento ed è stato ripreso e rimodellato da molte formazioni, qui ancora
praticamente agli albori. Rodgers verso la metà degli anni ’70 abbandonerà i
Free per dar vita ad un nuovo e fortunato progetto boogie rock dal nome Bad
Company. L’hard rock è della miglior specie, eccellente nelle ballate, dove la
voce di Paul diventa interprete stupenda. Il merito di queste sonorità vanno
attribuite anche al chitarrista Mick Ralphs (ex Mott The Hoople).
Gli Atomic Rooster meritano uno spazio tutto loro, sono
sempre stati sottovalutati dal grande pubblico, ma i dischi sono di una
bellezza eccezionale ancora attuale. Il loro dark sound farà scuola e ancora
oggi si trovano molti giovani artisti che si ispirano a loro.
Dall’altra sponda dell’Atlantico rispondono i grandiosi Blue
Öyster Cult. Se il termine “Heavy Metal” esce dalla canzone degli Steppenwolf,
è proprio con i BÖC che viene associato alla musica per la prima volta
(qualcuno dice che in precedenza fosse stato usato dalla famosa rivista Creem
associato ad una recensione dei Sir Lord Baltimore, anche se come “heavy
music”), comunque il neologismo appare ancora prima negli scritti di Burroughs,
un autore fondamentale per tutta la beat generation. I primi tre album del
gruppo newyorkese sono delle pietre miliari che non dovrebbero mancare nella
discografia di ogni buon rocker. I cinque hanno dato vita ad un sound oscuro e
unico, con testi finalmente intelligenti e “diversi” dai soliti cliché, si
parla di fantascienza, di storie limite e di poesie urbane. Come abbiamo
accennato, si mormora che il cantante del gruppo dovesse essere la poetessa
Patty Smith e forse questo avrebbe cambiato parte della storia del rock, fatto
sta che i BÖC sono entrati nella storia anche se forse avrebbero meritato una
risonanza maggiore. E ancora vanno ricordati i Foghat, accostabili ai James
Gang, ma più seminali e potenti.
Proseguendo negli anni, verso la metà dei ’70 troviamo il
nostro hard rock più in forma che mai, grazie soprattutto al sorgere
vertiginoso di nuove formazioni, tutte desiderose di distinguersi dalla massa.
Una delle band americane che hanno aperto nuove soluzioni sono gli Angel, non
tanto per le vendite, quanto per l’influenza stilistica. Gli angeli del maestro
Greg Giuffria si presentano vestiti di bianco con tanto di strumentazione in
bianco e vengono notati da Gene Simmons, che li segnala immediatamente
all’etichetta Casablanca. Con loro l’hard rock è ai confini con il pomp rock,
di qui l’importanza storica.
Anche il Canada dà il proprio apporto alla causa. Nel tempo
ascolteremo artisti importanti come Guess Who, Bachman Turner Overdrive,
ovviamente i progressivi Rush che meriterebbero un maggior approfondimento, in
fondo però solo il loro primo album è da considerarsi hard rock, e ancora Saga,
Prism, Moxy, Max Webster, Triumph, ma verso la metà degli anni ’70 c’è un
chitarrista dal nome Frank Marino che ha grandi cose da raccontare. Il rock
suonato è totale, in esso aleggia hard blues, psichedelia e qualcosa di
Hendrix, suo vero ispiratore. La Gibson improvvisa storie che consiglio di
andare a rispolverare, a partire dal disco d’esordio “Maxoom” (Kot’Ai-1973).
Più legati al classico blues in America troviamo il power trio
degli ZZ Top, famosi per le lunghissime barbe, il loro hard rock è essenziale e
diretto, ma il grande successo arriverà solo negli anni ’80. Comunque sono fra
i fondatori della componente hard del southern rock (conosciuto anche come rock
sudista). Nello stesso periodo troviamo i meno fortunati Black Oak Arkansas,
che con i tre chitarristi ed una vita on the road alquanto movimentata, hanno
dato il loro bravo contributo. L’atteggiamento “glam” e catalizzatore del
cantante Jim Dandy è precursore di atteggiamenti provocatori da “animale da
palco”, successivamente ripreso anche dal grande David Lee Roth dei Van Halen e
da migliaia di altri futuri singers.
Non da poco il fatto che i Black Oak Arkansas sono stati
anche gruppo di riferimento per i più fortunati Lynyrd Skynyrd. Il southern
rock che suonano ci porta a conoscenza di una band dal passato rissoso, la
posizione conservatrice del gruppo non è tanto politica, quanto
social-popolare. Tacciati di razzismo, suonano un rock duro e diretto che va a
pescare nel blues e nel country. Sicuramente precursori nell’uso di due o tre
chitarre, in seguito emulato da numerose altre band.
Anticipatori del suono stelle e strisce, poi tanto caro ai
Van Halen , sono i Montrose del guitar hero Ronnie Montrose e del cantante
Sammy Hagar (guarda caso futuro Van Halen). Il loro brano “I’ve Got the Fire”
qualche anno dopo sarà una delle prime di una lunga serie di incendiarie cover
proposte dagli Iron Maiden. A ben guardare il sound dei Montrose era già puro
heavy metal.
EPILOGO E NUOVA VITA
A questo punto della storia, verso la fine degli anni ’70,
succede un passaggio importante. Parallelo al movimento hard rock e talvolta
con diversi punti di congiunzione, si è sviluppato il movimento progressive o rock
romantico, come qualcuno lo chiamava in origine. Questi due grandi contenitori
sonori arrivano alla fine del decennio spompati e privi di sbocchi, con le
grandi band che venivano definite ironicamente “dinosauri” del rock. C’era
bisogno di qualcosa di nuovo perché il pubblico era stanco di lunghe jam
sessions e di suite auto celebrative, la musica stava diventando o cervellotica
o ripetitiva, o autoreferenziale, con le case discografiche che spingevano i
gruppi per produrre hit da vendere velocemente. Così è arrivato l’esatto
contrario di tutto quello che c’era allora: il punk.
Ancora più sporco e grezzo dell’hard rock, ancora più
essenziale e diretto, con Sex Pistols, Damned, Still Fingers e Clash, il punk,
vero terremoto, apre nuove possibilità artistiche. Da un lato l’hard rock si
fonde col punk per dare vita alla new wave of british heavy metal. Da un altro
lato alcune formazioni mantengono la presa con nuove band, sempre più tecniche
e carismatiche, la lezione dei maestri passati viene perfettamente assimilata.
Ecco nascere formazioni che hanno fatto ancora la storia, come ad esempio i
Rainbow, una delle più famose “superband” di hard rock, fondati da Ritchie
Blackmore a seguito dell’uscita dai Deep Purple, nella cui line-up vediamo
alternarsi artisti stratosferici come Joe Lynn Turner, Roger Glover, Graham
Bonnet, Cozy Powell, Don Airey, e in particolare un cantante dalla voce
memorabile come Ronnie James Dio, che proveniva da una semisconosciuta band di
hard blues dal nome Elf. Come non citare la famosa e bella canzone “I
Surrender” affidata proprio alla potente ugola di J.L. Turner, un must.
Non da meno i Whitesnake dell’incredibile vocalist David
Coverdale. La discografia del serpente bianco è ricca di buone realizzazioni. I
Judas Priest di Rob Halford si intersecano con sonorità oscure e metalliche,
creando un filone che sfocerà nel metallo fuso più pesante, i Saxon di Byff
Byford racconteranno di battaglie, i teutonici Scorpions di donne, così l’hard
rock si modifica in miriadi di soluzioni, sempre più prossime al nascente heavy
metal.
Oggi siamo nel nuovo millennio e con piacere constatiamo lo
stato di buona salute del genere, ci sono molte piccole etichette discografiche
specificamente dedicate al sound dei seventies. Alla faccia di tutti coloro che
hanno sempre denigrato l’hard rock e che gli hanno pronosticato una vita breve.
Le formazioni sono tante, troppe da citare, ma soprattutto la lezione impartita
dai gruppi di hard rock è riscontrabile in quasi tutti i gruppi a venire. “…
Long Live Rock’N Roll” e come disse il sommo poeta per bocca di Virgilio “Non
ti curar di loro ma guarda e passa”.
COROLLARIO, GLI ALTRI PAESI
Ogni tanto abbiamo citato anche artisti di altri paesi, ma
per chiudere il discorso ci sembrava giusto dire ancora qualche parola. La
Germania è l’unico paese che riesce in qualche modo a tenere testa allo
strapotere angloamericano, la musica dura ha buoni proseliti, in primis ci sono
i già citati Scorpions di Klaus Meine e del talentuoso Uli Jon Roth. Poi fra le
band più interessanti vanno menzionati i Birth Control, gli Epitaph, i Jane e i
Lucifer’s Friend. Qualche anno dopo arrivano gli Accept di Udo, che porteranno
l’hard rock direttamente nell’heavy metal, ma i primi lavori nascono proprio
dal nostro genere in questione.
Abbiamo menzionato gli australiani AC/DC dello scatenato
scolaretto Angus Young, una vera istituzione per tutto il movimento. Al pari
dei grandi nomi citati, gli AC/DC sono stati per intere generazioni il primo
gruppo da cui si partiva per avvicinarsi a questo genere. Ma l’Australia ha
avuto anche altre stelle, come i Cold Chisum, che però non hanno saputo
suscitare la stessa attenzione degli AC/DC.
Non sono mancate formazioni giapponesi, svedesi e di altri
paesi, ma come abbiamo detto all’inizio questa non è un’enciclopedia e quindi
se siete curiosi possiamo approfondire in futuro.
Infine l’Italia, il nostro paese. Negli anni ’70 ci sono dei
complessi che hanno in qualche modo fatto presenza nell’ambito, anche se in
realtà il loro posto è più consono nell’hard prog, come per esempio i Biglietto
Per L’inferno,i Procession, i New Trolls, il Rovescio della Medaglia, gli Osanna. Proprio il
disco “Biglietto Per L’inferno” (Trident-1974) ci mostra una formazione si
giovane, ma oltremodo preparata, con testi assolutamente intelligenti ed un
cantato (almeno per questa volta) indovinato. Oppure i Trip di Joe Vescovi, con
chitarre Hendrix style. Diciamo che in realtà il nostro movimento hard rock
vero e proprio comincia verso la fine degli anni ’70 a cavallo con gli ’80,
quando all’estero tutto è appianato. Restano comunque da sottolineare band di
indubbio valore come i Vanadium di Pino Scotto, o la Strana Officina, ma qui
siamo già alle soglie degli anni ’80, agli albori della cosiddetta NWOIHM e
anche questa è tutta un’altra storia.
GIANCARLO BOLTHER / MASSIMO SALARI
GIANCARLO BOLTHER / MASSIMO SALARI
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