DUNGEN - 4
Subliminal Records
Distribuzione italiana: -
Genere: Prog
Support: CD - 2008
Nel 1994 i Landberk vengono menzionati come band Prog dell’anno grazie allo stupendo “One Man Tell’s Another”. Una band sempre poco ricordata, specie dopo la scissione della fine anni ’90. Uno stile unico, un modo di suonare il Progressive Rock che ha fatto scuola alle band a venire. E’ vero che la loro influenza è dedita al 100% ai maestri King Crimson, ma la personalità della band riesce a fare il resto. Il merito di tutto questo è del chitarrista Reine Fiske.
Per anni ci siamo chiesti che fine abbia fatto questo musicista e lo ritrovo con piacere nel 2001 con questa band dal nome Dungen. Ho sempre seguito questi svedesi, così come seguivo i Landberk, ma confesso con risultati meno interessanti. Forse ha pesato anche il cantato in lingua madre, davvero limitativo, ma la realtà è che la musica proposta dai Dungen non è perfettamente Prog. Ci sono influenze cantautoriali e passaggi poco articolati, quelli che invece hanno fatto sempre la gioia dei progsters. Ma disco dopo disco maturano, trovano la propria identità. Già l’anno scorso con “Tio Bitar” ho riscontrato un passo avanti.
Giunge a me “4” e l’ascolto con curiosità mista a una quasi rassegnazione, ma cosa accade? Finalmente Fiske risale in cattedra. Il modo di suonare la chitarra è assolutamente intimistico. L’uso dello strumento è totale, l’artista vive con esso un vero e proprio rapporto fisico, grosso modo per rendere l’idea, come lo vive David Gilmour dei Pink Floyd, anche se gli stili sono completamente differenti.
Fiske tocca la sua chitarra con amore, con rabbia, anche nei punti più disparati, la fa scricchiolare, scoppiettare, la sostiene, la carezza e la maltratta, proprio come faceva nei Landberk. “4” in realtà non è il quarto disco di questa band, ma il quinto e finalmente, anche se con ritardo, quello della maturità. Ci sono dieci brani per una durata complessiva di 37.30 minuti. Forse questa breve durata non è un vero difetto, ma un pregio, perché la musica proposta non è articolata e non si disperde in chiacchiere. Un Prog anomalo, anche se ben sostenuto in molti brani, dalle tastiere di Gustav Ejstes. Non suite dunque, ma si punta direttamente alla sostanza. Il cantautoriale resta, così il cantato in svedese, non certo il massimo per le nostre orecchie, ma vi assicuro che il tutto scorre più che dignitosamente.
Fiske in cattedra, si riposa solo nel brano “Bandhagen”, il conclusivo, dove il Prog più canonico si presenta a noi in tutta la sua sfolgorante bellezza. Richiami anni ’70, Hard Prog con assolo adrenalinici, melodie antiche, insomma un menù davvero ricco relegato in poco tempo.
Non un brano migliore dell’altro, è l’insieme che funziona e a questo punto sono curioso ed eccitato per il loro proseguo artistico.
Avevamo provato i Paatos di Stefan Dimle (Basso) nel tempo a sanare la defezione Landberk, ma ora attenzione, la creatività si sta spostando verso l’orizzonte Dungen. Cambiano il termine Progressive Rock, ascoltate questo “4” con attenzione, ha cose nuove da raccontarvi. MS
Pagine
▼
lunedì 30 aprile 2012
domenica 29 aprile 2012
Il ritorno dei Syndone
A due anni dal favoloso comeback di 'Melapesante' la new prog band torinese torna con un nuovo lavoro concettuale. Rock sinfonico ad alto voltaggio, con la partecipazione speciale al flauto di Ray Thomas dei Moody Blues
La Bella è la Bestia: il nuovo concept-album dei Syndone
AMS/BTF
è lieta di presentare:
LA BELLA E' LA BESTIA
...il nuovo album dei Syndone...
AMS/BTF 2012
12 brani, 46.30 minuti
29 aprile 2012: i Syndone presentano il nuovo album La Bella è la Bestia (AMS/BTF). Un ritorno importante per la band torinese guidata dall'inarrestabile Nik Comoglio, compositore e tastierista che ha rimesso in piedi il gruppo nel 2010 dopo anni di silenzio. Dopo il concept Melapesante, il disco della "ripartenza" di due anni fa, arriva La Bella è la Bestia: un nuovo lavoro concettuale ideato da Riccardo Ruggeri, incentrato sul simbolismo della fiaba di Beaumont del 1756 e aperto a varie interpretazioni e suggestioni. Per questo nuovo album - il quarto nella carriera del gruppo - i Syndone tornano alla formazione in trio degli anni '90, ma con maturità e fantasia in più: Nik Comoglio (tastiere), Riccardo Ruggeri (voci e concept) e Francesco Pinetti (marimba, vibrafono, percussioni) sono l'organico base che ha orchestrato il lavoro creando il migliore scenario per i diversi personaggi interpretati dal vocalist.
I tre si avvalgono di numerosi ospiti, comprese sezioni di celli e fiati che rendono La Bella è la Bestia un'affascinante ed enigmatica opera di rock progressivo moderno, in perfetto equilibrio tra energia e raffinatezza, impatto rock e orchestrazione sofisticata. Tra gli ospiti spicca un nome leggendario: Ray Thomas, flautista e vocalist degli indimenticabili Moody Blues, che ha suonato il flauto traverso in Tu non sei qui e Orribile mia forma. La registrazione è avvenuta in Inghilterra con la partecipazione del popolare produttore Greg Walsh (noto in Italia in particolare per i lavori con Lucio Battisti). A Londra è stato effettuato anche il mastering del disco, nei celebri studi di Abbey Road.
Melapesante ha avuto lusinghiere recensioni dalla stampa italiana ed estera: numerosissime testate come Jam, Progression, Rockerilla, IO Pages, Arlequins e Koid 9 hanno apprezzatol'eclettismo dei Syndone. Questa dote è ancora più marcata in La Bella è la Bestia, attesissimo da critica e pubblico di tutto il mondo. Dichiara orgoglioso Nik Comoglio: "È sicuramente un album più maturo e presenta un sound più rock, ricco ed omogeneo di Melapesante; sono molto soddisfatto del risultato raggiunto perché credo che abbiamo centrato in pieno l’obiettivo che ci eravamo proposti al momento della scrittura, ovvero tentare la via del concept-album senza cadere nell’anacronistico. Questo lavoro rappresenta l’idea di come noi intendiamo la musica prog nel 2012".
Info:
Syndone:
BTF:
Ufficio Stampa Synpress44:
Pathosray
PATHOSRAY - Pathosray
Laser's Edge
Distribuzione italiana: ?
Genere: Prog Metal
Support: CD - 2008
In ambito Metal Prog si parla molto delle nuove leve, anche se in definitiva tracciano sempre le linee dei maestri Dream Theater. Nomi come Circus Maximus, Redemption, Siegen Even e tanti altri ricoprono pagine di Webzine o riviste di settore. Per noi italiani sempre poca gloria, Eldritch , Labyrinth e pochi altri stanno a tenere alta la nostra bandiera. Ma come si fa a non esaltare una band come i Pathosray? Una band coesa, che viaggia sugli strumenti come pochi altri, la musica proposta prevale sulla tecnica, un Metal Prog gradevole ed intelligente ed una produzione più che discreta. L’ennesimo inchiostro sprecato, l’ennesimo appello agli usufruitori ad una attenta valutazione, probabilmente destinata ancora una volta a fare un buco nell’acqua. Venderà il prossimo cd dei Symphony X mille volte di più di questo debutto, questo gia si sa, ma lasciatemi almeno dire che la band è grande, pronta per il grande salto sin da questo primo lavoro.
I Pathosray si formano nel 2000 grazie alla passione del batterista Moni Bidin e del chitarrista Luca Luison. La musica proposta varia dal Metal al Prog, passando anche per il Gothic più datato. Il risultato è eccellente, così come la voce di Marco Sandron. Si colgono ovviamente le influenze di band come gli immancabili Dream Theater, Fates Warning, ma anche Nevermore. Fondamentale il lavoro alle tastiere di Giampaolo Rinaldi, certe scale fanno la sicura gioia degli estimatori del Prog più classico. Alle spalle hanno anche due buoni demo, “Strange Kind Of Energies” (2002) e “Deathlees Crescendo” (2006).
“Pathosray” è composto da nove brani, tutti degni di nota, ricchi di cambi di tempo e di tutti gli ingredienti che rendono il Metal Prog un genere totale, ossia musica per il corpo e per la mente. Questa volta per mia volontà non descrivo i brani, è ora che la musica italiana spicchi il volo da sola. La vostra curiosità dovrà fare il resto, io personalmente comincio a stancarmi di fare battaglie contro i mulini a vento.
Ma che nessuno mi venga a dire che l’ultimo dei Symphony X è meglio di “Pathosray”, allora mi ci trova! MS
Laser's Edge
Distribuzione italiana: ?
Genere: Prog Metal
Support: CD - 2008
In ambito Metal Prog si parla molto delle nuove leve, anche se in definitiva tracciano sempre le linee dei maestri Dream Theater. Nomi come Circus Maximus, Redemption, Siegen Even e tanti altri ricoprono pagine di Webzine o riviste di settore. Per noi italiani sempre poca gloria, Eldritch , Labyrinth e pochi altri stanno a tenere alta la nostra bandiera. Ma come si fa a non esaltare una band come i Pathosray? Una band coesa, che viaggia sugli strumenti come pochi altri, la musica proposta prevale sulla tecnica, un Metal Prog gradevole ed intelligente ed una produzione più che discreta. L’ennesimo inchiostro sprecato, l’ennesimo appello agli usufruitori ad una attenta valutazione, probabilmente destinata ancora una volta a fare un buco nell’acqua. Venderà il prossimo cd dei Symphony X mille volte di più di questo debutto, questo gia si sa, ma lasciatemi almeno dire che la band è grande, pronta per il grande salto sin da questo primo lavoro.
I Pathosray si formano nel 2000 grazie alla passione del batterista Moni Bidin e del chitarrista Luca Luison. La musica proposta varia dal Metal al Prog, passando anche per il Gothic più datato. Il risultato è eccellente, così come la voce di Marco Sandron. Si colgono ovviamente le influenze di band come gli immancabili Dream Theater, Fates Warning, ma anche Nevermore. Fondamentale il lavoro alle tastiere di Giampaolo Rinaldi, certe scale fanno la sicura gioia degli estimatori del Prog più classico. Alle spalle hanno anche due buoni demo, “Strange Kind Of Energies” (2002) e “Deathlees Crescendo” (2006).
“Pathosray” è composto da nove brani, tutti degni di nota, ricchi di cambi di tempo e di tutti gli ingredienti che rendono il Metal Prog un genere totale, ossia musica per il corpo e per la mente. Questa volta per mia volontà non descrivo i brani, è ora che la musica italiana spicchi il volo da sola. La vostra curiosità dovrà fare il resto, io personalmente comincio a stancarmi di fare battaglie contro i mulini a vento.
Ma che nessuno mi venga a dire che l’ultimo dei Symphony X è meglio di “Pathosray”, allora mi ci trova! MS
sabato 21 aprile 2012
Mago De Oz
MAGO DE OZ - Madrid Las Ventas
Locomotive
Genere: Heavy Metal - Prog Metal
Supporto: cd - 2005
La Spagna non è che sia ricca di grandi gruppi Heavy Metal, ma i Mago De Oz sono una vera e propria istituzione e non solo in patria. Sempre dediti ad un sound particolare con influenze Iron maiden ed il cantato in lingua madre, hanno riempito piazze durante i loro concerti e venduto migliaia di dischi.
L’ approccio compositivo del sestetto iberico è sempre stato valido, mai ripetitivo, con una attenta ricerca nelle combinazioni armoniche. La voce di José è sempre potente, anche in questa testimonianza live viene rimarcato il concetto, basta ascoltare “Astaroth” per rendersene conto. Carlitos e Frank fanno una coppia chitarristica di tutto rispetto, ma è il violino di Mohamed a rendere il sound del gruppo unico nel suo genere.
Il pubblico li ama e canta con loro ogni brano. Con “La Danza Del Fuego” si ascolta veramente di tutto, da motivetti alla Helloween ad interventi Folk barocchi che a volte fanno venire in mente addirittura i Jethro Tull. Bravo José a coinvolgere il pubblico, la cornice live è veramente stupenda. “Van A Rodar La Cabeza” è un'altra testimonianza di compattezza sonora, ma la vera arma vincente del gruppo è l’unione di stili differenti apparentemente non compatibili, il risultato è ovviamente unico nel suo genere.
I Mago De Oz esistono dal 1989 e se ancora oggi resistono all’usura del tempo un motivo ci sarà pure. Questo live è una grande testimonianza di quello che hanno saputo raccontarci in tutto questo lasso di tempo, Metal, Folk Celtico e Progressive Rock sembrano che possano tranquillamente convivere fra di loro, questo è almeno uno dei grandi meriti di questi vecchi ragazzi che secondo me meriterebbero di raccogliere di più di quello che hanno seminato. Ascoltare per credere. MS
ED ORA GODETEVI L'INTERO CONCERTO! Buona Visione!!!
Locomotive
Genere: Heavy Metal - Prog Metal
Supporto: cd - 2005
La Spagna non è che sia ricca di grandi gruppi Heavy Metal, ma i Mago De Oz sono una vera e propria istituzione e non solo in patria. Sempre dediti ad un sound particolare con influenze Iron maiden ed il cantato in lingua madre, hanno riempito piazze durante i loro concerti e venduto migliaia di dischi.
L’ approccio compositivo del sestetto iberico è sempre stato valido, mai ripetitivo, con una attenta ricerca nelle combinazioni armoniche. La voce di José è sempre potente, anche in questa testimonianza live viene rimarcato il concetto, basta ascoltare “Astaroth” per rendersene conto. Carlitos e Frank fanno una coppia chitarristica di tutto rispetto, ma è il violino di Mohamed a rendere il sound del gruppo unico nel suo genere.
Il pubblico li ama e canta con loro ogni brano. Con “La Danza Del Fuego” si ascolta veramente di tutto, da motivetti alla Helloween ad interventi Folk barocchi che a volte fanno venire in mente addirittura i Jethro Tull. Bravo José a coinvolgere il pubblico, la cornice live è veramente stupenda. “Van A Rodar La Cabeza” è un'altra testimonianza di compattezza sonora, ma la vera arma vincente del gruppo è l’unione di stili differenti apparentemente non compatibili, il risultato è ovviamente unico nel suo genere.
I Mago De Oz esistono dal 1989 e se ancora oggi resistono all’usura del tempo un motivo ci sarà pure. Questo live è una grande testimonianza di quello che hanno saputo raccontarci in tutto questo lasso di tempo, Metal, Folk Celtico e Progressive Rock sembrano che possano tranquillamente convivere fra di loro, questo è almeno uno dei grandi meriti di questi vecchi ragazzi che secondo me meriterebbero di raccogliere di più di quello che hanno seminato. Ascoltare per credere. MS
ED ORA GODETEVI L'INTERO CONCERTO! Buona Visione!!!
Lingalad
LINGALAD - La Locanda del Vento
Lizard Records
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog Folk
Support: CD - 2010
Ora, come ci dicevano i nostri genitori, mettetevi seduti che vi racconto una bella storia. Non abbiamo più sentito questa frase da anni! Ce la ripropone la rinomata band lombarda Lingalad, con la bontà di narrarci ben quindici nuove storie. Erano cinque anni che non sentivamo più il gruppo da studio, “Lo Spirito Delle Foglie” è stata una buona raccolta di inediti che ha lasciato ai posteri una band decisamente in forma. Giuseppe Festa (voce, chitarra e flauto) e la sua band, ritorna oggi supportata dalla Lizard Records, dove Loris Furlan ha dimostrato di avere lungimiranza ed un gusto per la cultura indie davvero spiccato. E’ così che da questo connubio nasce “La Locanda Del Vento”, oltre che il titolo dell’album è anche quello di una vera e propria collana sonora all’interno della Lizard. Prima di addentrarci nei racconti, tengo a sottolineare la bellezza dell’artwork che accompagna il cd, una volta tanto, ben curato e ricco di descrizioni. Ogni storia è ben rappresentata dalle matite di Alessandra Simonini.
Antiche narrazioni incise nel legno, insieme suggestivo coronato dalla musica Folk del disco. Festa si circonda di artisti come Fabio Ardizzone (basso), Giorgio Parato (batteria, chitarra e piano), Claudio Morlotti (chitarre e strumenti antichi) oltre che da special guest del rango di Davide Camerin (voce in “Toni Il Matto”), Gianni Musy e Davide Perino (“I Boschi Della Luna”), Roberto Scola, fisarmonica in “Il Profumo Del Tempo”, Francesca Cazzulani voce in “Alice” e Sara Romoli voce in “Aria Oltre Le Stelle”. Sederci nella Locanda Del Vento, comporta udire storie che si perdono nel tempo, è il vento che le porta e in qualche modo le rende eterne, altrimenti perse nei meandri dell’oblio. “Il Profumo Del Tempo” lascia una lacrima di resina profumata e densa, dove chi narra si smarrisce nei propri sogni. La musica che compone i brani si alterna fra Rock moderno e frangenti cari a tratti anche al grande Branduardi. Il flauto spesso e volentieri riporta la mente al Pop Rock degli anni ’70, così certe chitarre come nell’ottima e descrittiva “Gli Occhi Di Greta”, quando una cieca osserva meglio il mondo di chi ci può vedere. Come in tutte le fiabe non può mancare il bosco, una storia di incendi e fulmini, sorretta da una colonna sonora di natura più cantautoriale, comunque sempre attempata. Uno dei brani più belli del disco si intitola “Toni Il Matto”, struggente e profonda, narra di un uomo con una scheggia in testa rimediata in guerra. Questa canzone potrebbe uscire benissimo dalla discografia del poeta De Andrè. Colpisce il testo di “Madre Mia”, scritto da Gianni Musy, ma non ritengo giusto proseguire una narrazione che può solamente togliere il piacere di scoprire da soli nuove fiabe.
Vi assicuro che la musica è piacevole, perché unisce la cultura dei tempi passati con buone soluzioni moderne, un disco maturo e profondo. Chi ha detto poi che la musica non ha un profumo? MS
Lizard Records
Distribuzione italiana: si
Genere: Prog Folk
Support: CD - 2010
Ora, come ci dicevano i nostri genitori, mettetevi seduti che vi racconto una bella storia. Non abbiamo più sentito questa frase da anni! Ce la ripropone la rinomata band lombarda Lingalad, con la bontà di narrarci ben quindici nuove storie. Erano cinque anni che non sentivamo più il gruppo da studio, “Lo Spirito Delle Foglie” è stata una buona raccolta di inediti che ha lasciato ai posteri una band decisamente in forma. Giuseppe Festa (voce, chitarra e flauto) e la sua band, ritorna oggi supportata dalla Lizard Records, dove Loris Furlan ha dimostrato di avere lungimiranza ed un gusto per la cultura indie davvero spiccato. E’ così che da questo connubio nasce “La Locanda Del Vento”, oltre che il titolo dell’album è anche quello di una vera e propria collana sonora all’interno della Lizard. Prima di addentrarci nei racconti, tengo a sottolineare la bellezza dell’artwork che accompagna il cd, una volta tanto, ben curato e ricco di descrizioni. Ogni storia è ben rappresentata dalle matite di Alessandra Simonini.
Antiche narrazioni incise nel legno, insieme suggestivo coronato dalla musica Folk del disco. Festa si circonda di artisti come Fabio Ardizzone (basso), Giorgio Parato (batteria, chitarra e piano), Claudio Morlotti (chitarre e strumenti antichi) oltre che da special guest del rango di Davide Camerin (voce in “Toni Il Matto”), Gianni Musy e Davide Perino (“I Boschi Della Luna”), Roberto Scola, fisarmonica in “Il Profumo Del Tempo”, Francesca Cazzulani voce in “Alice” e Sara Romoli voce in “Aria Oltre Le Stelle”. Sederci nella Locanda Del Vento, comporta udire storie che si perdono nel tempo, è il vento che le porta e in qualche modo le rende eterne, altrimenti perse nei meandri dell’oblio. “Il Profumo Del Tempo” lascia una lacrima di resina profumata e densa, dove chi narra si smarrisce nei propri sogni. La musica che compone i brani si alterna fra Rock moderno e frangenti cari a tratti anche al grande Branduardi. Il flauto spesso e volentieri riporta la mente al Pop Rock degli anni ’70, così certe chitarre come nell’ottima e descrittiva “Gli Occhi Di Greta”, quando una cieca osserva meglio il mondo di chi ci può vedere. Come in tutte le fiabe non può mancare il bosco, una storia di incendi e fulmini, sorretta da una colonna sonora di natura più cantautoriale, comunque sempre attempata. Uno dei brani più belli del disco si intitola “Toni Il Matto”, struggente e profonda, narra di un uomo con una scheggia in testa rimediata in guerra. Questa canzone potrebbe uscire benissimo dalla discografia del poeta De Andrè. Colpisce il testo di “Madre Mia”, scritto da Gianni Musy, ma non ritengo giusto proseguire una narrazione che può solamente togliere il piacere di scoprire da soli nuove fiabe.
Vi assicuro che la musica è piacevole, perché unisce la cultura dei tempi passati con buone soluzioni moderne, un disco maturo e profondo. Chi ha detto poi che la musica non ha un profumo? MS
venerdì 20 aprile 2012
Orchestre Celesti
ORCHESTRE CELESTI - Compi la Tua Magia
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Symphonic Prog
Support: CD - 2007
L’importanza delle tastiere nella musica Progressiva italiana è fondamentale. Tutta la sinfonia e la magniloquenza del suono è dovuta generalmente proprio a questo antico strumento…che poi in alcuni casi proprio antico non è. Infatti il Mellotron , il Moog , il Mini Moog l’Hammond etc, sono tastiere recenti che servono a sopperire la mancanza fisica di una vera orchestra musicale. Molti sono dunque gli estimatori di questo strumento ed uno è il torinese Federico Fantacone. Suona nelle chiese per passione dello strumento, per poi focalizzarsi verso un Rock Progressivo stile classico italiano alla Banco, PFM , Orme etc. In definitiva una one man band, Federico suona tutti gli strumenti e compone tutti i brani. Come ben descrive l’artista nel suo blog, il nome Orchestre Celesti viene estrapolato da “una vecchia prassi ed arte cinese, in cui vecchi maestri creavano piccoli strumenti a fiato e li legavano alle zampe di stormi di colombe, che poi addestravano a compiere incredibili evoluzioni e a generare, in volo, melodie ed armonie. Il nome di questa tradizione era: Orchestre Celesti”.
L’idea nasce nel 2001, con tanta voglia di emulare le mitiche band italiane di allora, nel tempo è divenuta una realtà e nel 2007 è la volta del debutto dal titolo “Compi La Tua Magia”. Il disco è composto da ben ventuno, tracce per una durata clamorosa di quasi ottanta minuti! Organi, Mellotron , una esplosione cromatica di note colpisce l’ascoltatore, riportando spesso e volentieri la mente indietro nel tempo. Il piano spesso ricorda nello stile quello di Vittorio Nocenzi, ascoltatelo ad esempio in "Maestoso”. Non è semplice sommergere l’ascoltatore sotto una cascata di suoni senza correre il rischio di saturarlo, per questo serve inevitabilmente un songwriting a dir poco variegato. “Compi La Tua Magia” in un certo qual modo rientra in range di sopportabilità altissimi. Certo è che se ci fossero stati altri strumenti a spezzare di più l’ascolto , il tutto ne avrebbe giovato in fluidità, ciò nonostante tutto scorre a dovere. Avviso coloro che non sopportano ritmiche programmate che qui se ne trovano. Keith Emerson fa capolino in fughe come "Presto con Moto", mostrando un bagaglio culturale più ampio dell’artista. In pratica questa minisuite a cui mi sono riferito sino ad ora si intitola proprio “Compi La Tua Magia” ed è suddivisa in cinque movimenti. Le mani di Federico volano sui tasti di avorio, ci parlano di molte storie che si susseguono alacremente, a volte ricordando anche i Genesis, come in “Secure Rose”. Esistono episodi più ipnotici, come nella bucolica “Ethos”, ariosa e martellante nell’incedere, oppure più introspettivi come in “Wots N°2” ed “ Il Colosso Di Rhodes” dove fa capolino anche un sax.
Uno dei miei preferiti si intitola “Voci”, ma nell’insieme non c’è un brano che eccelle in maniera marcata, anche se nella conclusiva “ Vinyl Dawn” ho di che godere.
Federico Fantacone è un artista degno di nota, con molte cose da dire, io vi consiglio almeno di andarlo ad ascoltare nel suo Myspace, poi se son rose… MS
ORCHESTRE CELESTI - Black and Red
SelfproducedDistribuzione italiana: -
Genere: Symphonic Prog
Support: CD - 2009
Torna alla nostra attenzione Federico Fantacone ed il suo progetto Orchestre Celesti. Ancora una volta il tastierista polistrumentista si dedica ad un Rock sinfonico dalle radici profonde. Sono passati solo due anni dal debutto “Compi La Tua Magia” e l’artista prosegue il cammino ancorato agli anni ’70. “Black & Red” diffonde stralci alla EL&P, Orme e tutto quel ben di Dio che un Prog fans desidera da un assolo di tastiera. Influenze Jazz fanno capolino anche in questo lavoro, e ancora una volta ci sono le ritmiche programmate. Questo sta a dimostrare che siamo ancora una volta al cospetto di una one man band.
In questo volo pindarico sui tasti d’avorio, mi soffermo con più interesse nei brani dalle cadenze psichedeliche, le atmosfere sognanti sono quelle che a Fantacone riescono meglio. Non a caso “Two Of A Kind” è una delle mie preferite. Non mancano neppure i cambi di tempo, come un buon pezzo Prog necessita. Ma nessuna suite si aggira nel disco, bensì diciassette canzoni di media durata, esclusa “Piano Suite n°1” di quasi dieci minuti. C’è anche una cover, “Love Will Never Die” dei Velvet, con tanto di voce femminile. Molte Orme in “Ancora Dispari?” e “Strano Interludio”, mentre per giungere ad un pezzo elettronico – sperimentale bisogna giungere alla traccia nove dal titolo “Intruders”. Uno squarcio a ciel sereno, in quanto con “Mare Nero” ed il pianoforte, si ritorna subito negli anni ’70. “Piano Suite N°1” è il momento più alto del disco, assieme alla più classicheggiante “Piano Suite N° 2”. I Genesis fuoriescono in “Water On The Moon”, a dimostrazione , se ancora ce ne dovesse essere il bisogno, che Federico ha una cultura davvero profonda sul genere.
Un disco dunque non pieno di sorprese, ma di tanta buona musica, per pensare, sognare, senza troppo impegno. Un lavoro più che onesto, non a caso è stato anche nominato nei Progawards 2009. Anche un piccolo passo in avanti rispetto l’esordio. Orchestre Celesti si stagliano nella nostra mente e goderne le vibrazioni è più che consigliato. MS
Selfproduced
Distribuzione italiana: -
Genere: Symphonic Prog
Support: CD - 2007
L’importanza delle tastiere nella musica Progressiva italiana è fondamentale. Tutta la sinfonia e la magniloquenza del suono è dovuta generalmente proprio a questo antico strumento…che poi in alcuni casi proprio antico non è. Infatti il Mellotron , il Moog , il Mini Moog l’Hammond etc, sono tastiere recenti che servono a sopperire la mancanza fisica di una vera orchestra musicale. Molti sono dunque gli estimatori di questo strumento ed uno è il torinese Federico Fantacone. Suona nelle chiese per passione dello strumento, per poi focalizzarsi verso un Rock Progressivo stile classico italiano alla Banco, PFM , Orme etc. In definitiva una one man band, Federico suona tutti gli strumenti e compone tutti i brani. Come ben descrive l’artista nel suo blog, il nome Orchestre Celesti viene estrapolato da “una vecchia prassi ed arte cinese, in cui vecchi maestri creavano piccoli strumenti a fiato e li legavano alle zampe di stormi di colombe, che poi addestravano a compiere incredibili evoluzioni e a generare, in volo, melodie ed armonie. Il nome di questa tradizione era: Orchestre Celesti”.
L’idea nasce nel 2001, con tanta voglia di emulare le mitiche band italiane di allora, nel tempo è divenuta una realtà e nel 2007 è la volta del debutto dal titolo “Compi La Tua Magia”. Il disco è composto da ben ventuno, tracce per una durata clamorosa di quasi ottanta minuti! Organi, Mellotron , una esplosione cromatica di note colpisce l’ascoltatore, riportando spesso e volentieri la mente indietro nel tempo. Il piano spesso ricorda nello stile quello di Vittorio Nocenzi, ascoltatelo ad esempio in "Maestoso”. Non è semplice sommergere l’ascoltatore sotto una cascata di suoni senza correre il rischio di saturarlo, per questo serve inevitabilmente un songwriting a dir poco variegato. “Compi La Tua Magia” in un certo qual modo rientra in range di sopportabilità altissimi. Certo è che se ci fossero stati altri strumenti a spezzare di più l’ascolto , il tutto ne avrebbe giovato in fluidità, ciò nonostante tutto scorre a dovere. Avviso coloro che non sopportano ritmiche programmate che qui se ne trovano. Keith Emerson fa capolino in fughe come "Presto con Moto", mostrando un bagaglio culturale più ampio dell’artista. In pratica questa minisuite a cui mi sono riferito sino ad ora si intitola proprio “Compi La Tua Magia” ed è suddivisa in cinque movimenti. Le mani di Federico volano sui tasti di avorio, ci parlano di molte storie che si susseguono alacremente, a volte ricordando anche i Genesis, come in “Secure Rose”. Esistono episodi più ipnotici, come nella bucolica “Ethos”, ariosa e martellante nell’incedere, oppure più introspettivi come in “Wots N°2” ed “ Il Colosso Di Rhodes” dove fa capolino anche un sax.
Uno dei miei preferiti si intitola “Voci”, ma nell’insieme non c’è un brano che eccelle in maniera marcata, anche se nella conclusiva “ Vinyl Dawn” ho di che godere.
Federico Fantacone è un artista degno di nota, con molte cose da dire, io vi consiglio almeno di andarlo ad ascoltare nel suo Myspace, poi se son rose… MS
ORCHESTRE CELESTI - Black and Red
SelfproducedDistribuzione italiana: -
Genere: Symphonic Prog
Support: CD - 2009
Torna alla nostra attenzione Federico Fantacone ed il suo progetto Orchestre Celesti. Ancora una volta il tastierista polistrumentista si dedica ad un Rock sinfonico dalle radici profonde. Sono passati solo due anni dal debutto “Compi La Tua Magia” e l’artista prosegue il cammino ancorato agli anni ’70. “Black & Red” diffonde stralci alla EL&P, Orme e tutto quel ben di Dio che un Prog fans desidera da un assolo di tastiera. Influenze Jazz fanno capolino anche in questo lavoro, e ancora una volta ci sono le ritmiche programmate. Questo sta a dimostrare che siamo ancora una volta al cospetto di una one man band.
In questo volo pindarico sui tasti d’avorio, mi soffermo con più interesse nei brani dalle cadenze psichedeliche, le atmosfere sognanti sono quelle che a Fantacone riescono meglio. Non a caso “Two Of A Kind” è una delle mie preferite. Non mancano neppure i cambi di tempo, come un buon pezzo Prog necessita. Ma nessuna suite si aggira nel disco, bensì diciassette canzoni di media durata, esclusa “Piano Suite n°1” di quasi dieci minuti. C’è anche una cover, “Love Will Never Die” dei Velvet, con tanto di voce femminile. Molte Orme in “Ancora Dispari?” e “Strano Interludio”, mentre per giungere ad un pezzo elettronico – sperimentale bisogna giungere alla traccia nove dal titolo “Intruders”. Uno squarcio a ciel sereno, in quanto con “Mare Nero” ed il pianoforte, si ritorna subito negli anni ’70. “Piano Suite N°1” è il momento più alto del disco, assieme alla più classicheggiante “Piano Suite N° 2”. I Genesis fuoriescono in “Water On The Moon”, a dimostrazione , se ancora ce ne dovesse essere il bisogno, che Federico ha una cultura davvero profonda sul genere.
Un disco dunque non pieno di sorprese, ma di tanta buona musica, per pensare, sognare, senza troppo impegno. Un lavoro più che onesto, non a caso è stato anche nominato nei Progawards 2009. Anche un piccolo passo in avanti rispetto l’esordio. Orchestre Celesti si stagliano nella nostra mente e goderne le vibrazioni è più che consigliato. MS
mercoledì 18 aprile 2012
Amarok
AMAROK - Sol de Medianoche
Progrock Records
Distribuzione italiana: ?
Genere: Prog
Support: CD - 2007
Gli Amarok sono una band spagnola composta da sei elementi che uniscono cultura del territorio con il Rock più ricercato e contaminato. Marta Segua è la voce, degna interprete di quei colori caldi, dalle influenze tipicamente mediterranee con giunta di vocalizzi arabeggianti. La strumentazione è atta al suono proposto, ci sono Whistle, Tabla, Bosphourus, sassofoni, Santur iraniani, xylophoni e quant’altro è portavoce del genere.
La musica proposta è conseguentemente folkloristica, diciamo come se fossero gli Anglagard mediterranei. Il gruppo si avvale di un nutrito seguito di guest musicians, ben otto, i quali a loro volta danno un apporto di rilievo nella riuscita del lavoro. E’ davvero strano ascoltare in pochi minuti così tante influenze come la tarantella, il country, la musica araba ed africana, il tutto è davvero fuorviante e non sempre facile da digerire. Di Rock non ne gira molto in “Sol De Medianoche”, ma chi ama confrontarsi con sperimentazioni etniche e quant’ altro il genere sa proporre allora ha trovato il disco giusto.
Lo sforzo produttivo della band è encomiabile, anche se questo tipo di suono non necessita di tante attenzioni, anzi, la diretta schiettezza forse è la sua vera natura.
L’etichetta americana Progrock ha davvero del coraggio e alterna prodotti tipici ad altri prettamente sperimentali e questo non fa altro che accrescere in me la stima nei loro confronti, anche quando il risultato non mi convince a pieno. Forse sarebbe meglio se gli Amarok passassero di meno da palo in frasca, sicuramente l’ascolto ne guadagnerebbe in congruenza. Anche se sono amante delle stramberie, tutto ha un determinato filo rettore, al di fuori del quale si rischia di non essere capiti. Comunque bravi. MS
Progrock Records
Distribuzione italiana: ?
Genere: Prog
Support: CD - 2007
Gli Amarok sono una band spagnola composta da sei elementi che uniscono cultura del territorio con il Rock più ricercato e contaminato. Marta Segua è la voce, degna interprete di quei colori caldi, dalle influenze tipicamente mediterranee con giunta di vocalizzi arabeggianti. La strumentazione è atta al suono proposto, ci sono Whistle, Tabla, Bosphourus, sassofoni, Santur iraniani, xylophoni e quant’altro è portavoce del genere.
La musica proposta è conseguentemente folkloristica, diciamo come se fossero gli Anglagard mediterranei. Il gruppo si avvale di un nutrito seguito di guest musicians, ben otto, i quali a loro volta danno un apporto di rilievo nella riuscita del lavoro. E’ davvero strano ascoltare in pochi minuti così tante influenze come la tarantella, il country, la musica araba ed africana, il tutto è davvero fuorviante e non sempre facile da digerire. Di Rock non ne gira molto in “Sol De Medianoche”, ma chi ama confrontarsi con sperimentazioni etniche e quant’ altro il genere sa proporre allora ha trovato il disco giusto.
Lo sforzo produttivo della band è encomiabile, anche se questo tipo di suono non necessita di tante attenzioni, anzi, la diretta schiettezza forse è la sua vera natura.
L’etichetta americana Progrock ha davvero del coraggio e alterna prodotti tipici ad altri prettamente sperimentali e questo non fa altro che accrescere in me la stima nei loro confronti, anche quando il risultato non mi convince a pieno. Forse sarebbe meglio se gli Amarok passassero di meno da palo in frasca, sicuramente l’ascolto ne guadagnerebbe in congruenza. Anche se sono amante delle stramberie, tutto ha un determinato filo rettore, al di fuori del quale si rischia di non essere capiti. Comunque bravi. MS
venerdì 13 aprile 2012
La Nuova Raccomandata Ricevuta Ritorno
La Nuova RACCOMANDATA con RICEVUTA di RITORNO - Il Pittore Volante
AMS Records / Vynil Magic
Distribuzione italiana: BTF
Genere: Prog
Support: CD - 2010
Spesso la realtà supera la fantasia….
Non sempre c’è la logica nelle cose, come si può fare un disco assolutamente importante nel 1972 e poi sparire nel nulla per quasi 40 anni! Sono certo che tutto questo non sarebbe accaduto se non ci fosse stato internet. Tranquilli, non sto farneticando, quello che dico ha un fondamento. Negli anni ’70 sono usciti molti dischi di band Progressive, quella volta denominati Pop e spesso mal distribuiti. Se possedevi una Major, avevi anche l’interesse del pubblico, altrimenti eri autore di un disco e via. E qui entrano in gioco i collezionisti, vinili a prezzi esorbitanti e spacciati per “assoluti capolavori”, in verità emerite scempiaggini. Le band si scioglievano quasi immediatamente, poche vendite e pochissime richieste di concerti. Alcune tentavano di dire qualcosa di differente, altre copiavano spudoratamente i loro idoli d’oltre Manica. Ma ci sono anche quelle dannatamente sfortunate, capaci di dire qualcosa di differente ed al momento non comprese.
Internet (e molte ristampe) ha concesso a molte persone di avvicinarsi a questi dischi introvabili, altrimenti inaccessibili per il prezzo proibitivo. Per questo motivo si riaccende l’interesse attorno a certi miti, un genere soffocato dal suo stesso “ego”, ora palpabile da tutti. Aggiungiamo a questo un ritorno di fiamma del Prog Italiano, oggi al centro dell’attenzione (giustamente) di molte webzine. Non c’è da stupirsi dunque se in due anni viviamo il ritorno di band come Latte E Miele, Delirium, PFM, Balletto Di Bronzo, Biglietto Per l’Inferno e appunto dei RRR. Qui si aggiunge l’aggettivo “la nuova”, ma nelle fila ritroviamo con estremo piacere artisti del calibro di Luciano Regoli (voce e chitarra), Nanni Civitenga (chitarre), Roberto Gardin (basso) e Walter Martino (batteria). La musica proposta ovviamente è quella a cui il genere si aggrappa tenacemente, il classico Prog Rock Italiano stile anni ’70, ma con una punta di freschezza. Special guest di spicco arricchiscono “Il Pittore Volante”, Claudio Simonetti (Goblin) e Lino Vairetti (Osanna) su tutti.
Come non attendersi un disco intriso di labirinti emozionali? L’ascolto non delude le attese, a partire dall’iniziale “Il Cambiamento”. La voce di Regoli è in splendida forma ed una inattesa aggressività elettrica da parte delle chitarre, sfoga tutta l’astinenza dalle scene dei nostri amici. Un eccelso pianoforte, introduce a “Il Vecchio”, brano che sembra uscire direttamente dagli anni ’70 ed un brivido mi percorre la pelle. I testi sembrano scritti da Roberto Roversi, nel senso della struttura e della poeticità. Sensazioni oscure si alternano a passaggi gioviali, per un risultato quantomeno fuorviante. E’ gia evidente a questo punto che i RRR non sono venuti a mani vuote, direi proprio che hanno bussato alla nostra porta con i piedi. Regali come “Il Fuoco”, “Eagle Mountain” e “La Mente” stendono al suolo qualsiasi Progfans. Sempre un velo di nostalgia ricopre “Il Pittore Volante”, quella che personalmente mi attanaglia quando ascolto certe cose e penso inesorabilmente ai tempi che furono.
Bentornati artisti, ma io non posso attendere altri 40 anni per riascoltarvi, non ci sarò più, mentre voi sarete sempre vivi ed eterni, come il Prog!
Spesso la realtà supera la fantasia…. MS
AMS Records / Vynil Magic
Distribuzione italiana: BTF
Genere: Prog
Support: CD - 2010
Spesso la realtà supera la fantasia….
Non sempre c’è la logica nelle cose, come si può fare un disco assolutamente importante nel 1972 e poi sparire nel nulla per quasi 40 anni! Sono certo che tutto questo non sarebbe accaduto se non ci fosse stato internet. Tranquilli, non sto farneticando, quello che dico ha un fondamento. Negli anni ’70 sono usciti molti dischi di band Progressive, quella volta denominati Pop e spesso mal distribuiti. Se possedevi una Major, avevi anche l’interesse del pubblico, altrimenti eri autore di un disco e via. E qui entrano in gioco i collezionisti, vinili a prezzi esorbitanti e spacciati per “assoluti capolavori”, in verità emerite scempiaggini. Le band si scioglievano quasi immediatamente, poche vendite e pochissime richieste di concerti. Alcune tentavano di dire qualcosa di differente, altre copiavano spudoratamente i loro idoli d’oltre Manica. Ma ci sono anche quelle dannatamente sfortunate, capaci di dire qualcosa di differente ed al momento non comprese.
Internet (e molte ristampe) ha concesso a molte persone di avvicinarsi a questi dischi introvabili, altrimenti inaccessibili per il prezzo proibitivo. Per questo motivo si riaccende l’interesse attorno a certi miti, un genere soffocato dal suo stesso “ego”, ora palpabile da tutti. Aggiungiamo a questo un ritorno di fiamma del Prog Italiano, oggi al centro dell’attenzione (giustamente) di molte webzine. Non c’è da stupirsi dunque se in due anni viviamo il ritorno di band come Latte E Miele, Delirium, PFM, Balletto Di Bronzo, Biglietto Per l’Inferno e appunto dei RRR. Qui si aggiunge l’aggettivo “la nuova”, ma nelle fila ritroviamo con estremo piacere artisti del calibro di Luciano Regoli (voce e chitarra), Nanni Civitenga (chitarre), Roberto Gardin (basso) e Walter Martino (batteria). La musica proposta ovviamente è quella a cui il genere si aggrappa tenacemente, il classico Prog Rock Italiano stile anni ’70, ma con una punta di freschezza. Special guest di spicco arricchiscono “Il Pittore Volante”, Claudio Simonetti (Goblin) e Lino Vairetti (Osanna) su tutti.
Come non attendersi un disco intriso di labirinti emozionali? L’ascolto non delude le attese, a partire dall’iniziale “Il Cambiamento”. La voce di Regoli è in splendida forma ed una inattesa aggressività elettrica da parte delle chitarre, sfoga tutta l’astinenza dalle scene dei nostri amici. Un eccelso pianoforte, introduce a “Il Vecchio”, brano che sembra uscire direttamente dagli anni ’70 ed un brivido mi percorre la pelle. I testi sembrano scritti da Roberto Roversi, nel senso della struttura e della poeticità. Sensazioni oscure si alternano a passaggi gioviali, per un risultato quantomeno fuorviante. E’ gia evidente a questo punto che i RRR non sono venuti a mani vuote, direi proprio che hanno bussato alla nostra porta con i piedi. Regali come “Il Fuoco”, “Eagle Mountain” e “La Mente” stendono al suolo qualsiasi Progfans. Sempre un velo di nostalgia ricopre “Il Pittore Volante”, quella che personalmente mi attanaglia quando ascolto certe cose e penso inesorabilmente ai tempi che furono.
Bentornati artisti, ma io non posso attendere altri 40 anni per riascoltarvi, non ci sarò più, mentre voi sarete sempre vivi ed eterni, come il Prog!
Spesso la realtà supera la fantasia…. MS
giovedì 12 aprile 2012
I Raminghi
I RAMINGHI - Il Lungo Cammino dei Raminghi
Bentler
Distribuzione italiana: si
Genere: Beat Psichedelico
Support: Lp 1971 - CD 1990
Con l’avvento di internet, la musica ha accresciuto notevolmente l’interesse attorno a se. Non solo c’è la possibilità di ascoltare canzoni di altre nazioni altrimenti ignorate per sempre a causa di una assente distribuzione, ma anche di trovare delle perle rare perse nei meandri dei tempi. E quando si parla di rarità è inevitabile associare il tutto al Progressive Rock. Centinaia e centinaia di band hanno tempestato l’universo sonoro italiano negli anni ’70, spesso gruppi da una botta e via. Ma il rapporto qualità e rarità è scarso, in larga maggioranza si trattano di dischi davvero brutti e mal prodotti, tuttavia può capitare di imbattersi anche in lavori dignitosi.
Con i bergamaschi I Raminghi ci andiamo a collocare nel mezzo. La storia del quartetto è alquanto curiosa, perché nel 1960 si chiamavano Herr Mussita E I Nomadi, per poi tagliare in Nomadi nel 1964. Ovviamente ci fu il conflitto con la band di Carletti e Daolio, per cui optarono per I Raminghi che comunque significa in ogni caso vagabondi, nomadi appunto.
La musica rispetto alla band più blasonata è totalmente differente, infatti ne “Il Lungo Cammino Dei Raminghi” ci troviamo a fronte di un Pop Psichedelico più sperimentale, meno diretto, un grezzo tentativo di staccarsi dal prototipo Beat tanto di moda negli anni ’60-’70 qui in Italia. L’LP è suddiviso in otto brani ed il primo si intitola “Donna Hai Ragione Tu”. L’intro strumentale richiama in maniera palese le scorribande Pinkfloydiane, quasi da far gridare al plagio, ma tutto cambia presto verso uno stile vicino ai Moody Blues e Procol Harum.
La voce del bassista Franco Mussita è ottima interprete, ma fregiata di quella cadenza riconducibile al Beat. Nove minuti francamente sono tanti per un giro armonico pressoché similare, però non sono da scartare alcuni passaggi strumentali quantomeno più coraggiosi.
Buona la chitarra di Angelo Serighelli, pur senza strafare. Angelo Sartori alle tastiere accompagna e si lancia in buoni solo, mentre la batteria di Romeo Cattaneo è suonata degnamente, come genere richiede. I quasi tre minuti de “La Nostra Verità” dipingono I Raminghi come una band più Hard Prog e narratrice di testi sociali alquanto impegnati, a dimostrazione che negli anni ’70 il sociale era comunque al centro dell’attenzione.
“Cose Superate” gira più nel Beat, in effetti questo raro disco non dovrebbe essere preso come un esempio di proto Prog, anche perché in Italia nel 1971 le band che suonavano Prog puro erano davvero poche, a parte i soliti nomi PFM, Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme etc.etc. “Partire” ha un giro di tastiere iniziali che richiamano per un istante gli Area più popolari, ma è appunto un istante, subito si ritorna alla formula canzone e francamente anche molto anonima. “Every Day Jesus” è più grintosa, quasi in stile Santana, gradevole ma nulla più, mentre “Non Moriremo Mai” ritorna alla scuola Procol Harum. Rifanno capolino gli Area in “Buio Mondo Nero E Giallo”, comunque solo nel refrain iniziale, per il resto del buon Hard Prog. Chiude la più acustica “Guarda Tuo Padre”, un mix fra Giganti ed Equipe 84, una canzone semplice.
Questo è dunque un disco raro e si capisce il perché, anche il fatto che non ne hanno fatto nessun altro. Comunque buoni musicisti che nel bene e nel male hanno proseguito la loro carriera musicale anche successivamente in altri lidi. Un disco solo consigliato ai più curiosi di voi. MS
Bentler
Distribuzione italiana: si
Genere: Beat Psichedelico
Support: Lp 1971 - CD 1990
Con l’avvento di internet, la musica ha accresciuto notevolmente l’interesse attorno a se. Non solo c’è la possibilità di ascoltare canzoni di altre nazioni altrimenti ignorate per sempre a causa di una assente distribuzione, ma anche di trovare delle perle rare perse nei meandri dei tempi. E quando si parla di rarità è inevitabile associare il tutto al Progressive Rock. Centinaia e centinaia di band hanno tempestato l’universo sonoro italiano negli anni ’70, spesso gruppi da una botta e via. Ma il rapporto qualità e rarità è scarso, in larga maggioranza si trattano di dischi davvero brutti e mal prodotti, tuttavia può capitare di imbattersi anche in lavori dignitosi.
Con i bergamaschi I Raminghi ci andiamo a collocare nel mezzo. La storia del quartetto è alquanto curiosa, perché nel 1960 si chiamavano Herr Mussita E I Nomadi, per poi tagliare in Nomadi nel 1964. Ovviamente ci fu il conflitto con la band di Carletti e Daolio, per cui optarono per I Raminghi che comunque significa in ogni caso vagabondi, nomadi appunto.
La musica rispetto alla band più blasonata è totalmente differente, infatti ne “Il Lungo Cammino Dei Raminghi” ci troviamo a fronte di un Pop Psichedelico più sperimentale, meno diretto, un grezzo tentativo di staccarsi dal prototipo Beat tanto di moda negli anni ’60-’70 qui in Italia. L’LP è suddiviso in otto brani ed il primo si intitola “Donna Hai Ragione Tu”. L’intro strumentale richiama in maniera palese le scorribande Pinkfloydiane, quasi da far gridare al plagio, ma tutto cambia presto verso uno stile vicino ai Moody Blues e Procol Harum.
La voce del bassista Franco Mussita è ottima interprete, ma fregiata di quella cadenza riconducibile al Beat. Nove minuti francamente sono tanti per un giro armonico pressoché similare, però non sono da scartare alcuni passaggi strumentali quantomeno più coraggiosi.
Buona la chitarra di Angelo Serighelli, pur senza strafare. Angelo Sartori alle tastiere accompagna e si lancia in buoni solo, mentre la batteria di Romeo Cattaneo è suonata degnamente, come genere richiede. I quasi tre minuti de “La Nostra Verità” dipingono I Raminghi come una band più Hard Prog e narratrice di testi sociali alquanto impegnati, a dimostrazione che negli anni ’70 il sociale era comunque al centro dell’attenzione.
“Cose Superate” gira più nel Beat, in effetti questo raro disco non dovrebbe essere preso come un esempio di proto Prog, anche perché in Italia nel 1971 le band che suonavano Prog puro erano davvero poche, a parte i soliti nomi PFM, Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme etc.etc. “Partire” ha un giro di tastiere iniziali che richiamano per un istante gli Area più popolari, ma è appunto un istante, subito si ritorna alla formula canzone e francamente anche molto anonima. “Every Day Jesus” è più grintosa, quasi in stile Santana, gradevole ma nulla più, mentre “Non Moriremo Mai” ritorna alla scuola Procol Harum. Rifanno capolino gli Area in “Buio Mondo Nero E Giallo”, comunque solo nel refrain iniziale, per il resto del buon Hard Prog. Chiude la più acustica “Guarda Tuo Padre”, un mix fra Giganti ed Equipe 84, una canzone semplice.
Questo è dunque un disco raro e si capisce il perché, anche il fatto che non ne hanno fatto nessun altro. Comunque buoni musicisti che nel bene e nel male hanno proseguito la loro carriera musicale anche successivamente in altri lidi. Un disco solo consigliato ai più curiosi di voi. MS
mercoledì 11 aprile 2012
Tunatons
TUNATONS - ¡Tunas!
Prosdocimi
Distribuzione italiana: si
Genere: Rockabilly
Support: CD - 2012
Surfabilly nel 2012... vi dirò che è una situazione Garage Rock davvero simpatica ed interessante. Alessandro Arcuri (basso e voce), Alberto Stocco (batteria) e Mike 3rd (chitarra) si chiudono in studio alla fine del 2011 e danno alla luce questo primo lavoro dal titolo "I Tunas!".
I veneti riescono in una impresa alquanto particolare ed accattivante, unire il Rockabilly con il Blues ed il Surf Rock con buone melodie e tanta attenzione agli arrangiamenti.
Se consideriamo poi che la masterizzazione è a cura di Ronan Chris Murphy (King Crimson , Tony Levin), c'è di che stare attenti. Infatti tutte queste premesse, portano ad un ascolto frizzante e gioioso, con una pulizia sonora alquanto marcata, la quale non è altro che la ciliegina sulla torta.
Il trio si barcamena con personalità ed idee chiare in tutte le undici tracce. Non esagerano mai i Tunatones, restano sempre con i piedi per terra, mentre sono capaci di farli alzare a chi ascolta, per ballare o seguire i ritmi a tratti ipnotici.
Resto colpito da "Cleopatra" immediatamente e non nascondo che mi ricorda "Apache" dei The Shadows. Provate a farvi violenza e restare fermi con "Bam Bam" se ci riuscite, oppure nella più cadenzata "Homage To George Harrison", dove le composizioni del chitarrista Beatles vengono rivisitate con personalità, a partire da "Taxman". Gli Stray Cats hanno preso possesso del trio veneto. Il pezzo è dedicato ai 40 anni dal mitico concerto per il Bangladesh fatto proprio da George Harrison a New York.
Diretti e solari in "Homeless Omelette" e in "Party By The Pool". Burlona sin dal titolo è "Mafia E Sti Cazzi", una sorta di ballata in stile West che mette in evidenza la bravura ritmica del duo Stocco-Arcuri.
Aumenta il ritmo in "Letter Of Love" e personalmente ci colgo pure i grandi Clash.
I Tunatones dimostrano dunque di sapere divertirsi e questo è contagioso, ma il tutto viene realizzato con professionalità e attenzione, cultura musicale, perchè anche nel divertimento c'è bisogno di un minimo di preparazione. Un disco consigliato a tutti, specialmente da ascoltare in compagnia o in auto. MS
Prosdocimi
Distribuzione italiana: si
Genere: Rockabilly
Support: CD - 2012
Surfabilly nel 2012... vi dirò che è una situazione Garage Rock davvero simpatica ed interessante. Alessandro Arcuri (basso e voce), Alberto Stocco (batteria) e Mike 3rd (chitarra) si chiudono in studio alla fine del 2011 e danno alla luce questo primo lavoro dal titolo "I Tunas!".
I veneti riescono in una impresa alquanto particolare ed accattivante, unire il Rockabilly con il Blues ed il Surf Rock con buone melodie e tanta attenzione agli arrangiamenti.
Se consideriamo poi che la masterizzazione è a cura di Ronan Chris Murphy (King Crimson , Tony Levin), c'è di che stare attenti. Infatti tutte queste premesse, portano ad un ascolto frizzante e gioioso, con una pulizia sonora alquanto marcata, la quale non è altro che la ciliegina sulla torta.
Il trio si barcamena con personalità ed idee chiare in tutte le undici tracce. Non esagerano mai i Tunatones, restano sempre con i piedi per terra, mentre sono capaci di farli alzare a chi ascolta, per ballare o seguire i ritmi a tratti ipnotici.
Resto colpito da "Cleopatra" immediatamente e non nascondo che mi ricorda "Apache" dei The Shadows. Provate a farvi violenza e restare fermi con "Bam Bam" se ci riuscite, oppure nella più cadenzata "Homage To George Harrison", dove le composizioni del chitarrista Beatles vengono rivisitate con personalità, a partire da "Taxman". Gli Stray Cats hanno preso possesso del trio veneto. Il pezzo è dedicato ai 40 anni dal mitico concerto per il Bangladesh fatto proprio da George Harrison a New York.
Diretti e solari in "Homeless Omelette" e in "Party By The Pool". Burlona sin dal titolo è "Mafia E Sti Cazzi", una sorta di ballata in stile West che mette in evidenza la bravura ritmica del duo Stocco-Arcuri.
Aumenta il ritmo in "Letter Of Love" e personalmente ci colgo pure i grandi Clash.
I Tunatones dimostrano dunque di sapere divertirsi e questo è contagioso, ma il tutto viene realizzato con professionalità e attenzione, cultura musicale, perchè anche nel divertimento c'è bisogno di un minimo di preparazione. Un disco consigliato a tutti, specialmente da ascoltare in compagnia o in auto. MS
giovedì 5 aprile 2012
Stephen Dedalus
STEPHEN DEDALUS - Say It Right!
300 Three Hundred
Distribuzione italiana: si
Genere: Rock Blues
Support: CD - 2011
Stradaiolo e crudo il Rock del trio Stephen Dedalus, quello che non ha bisogno di effetti speciali per colpire in faccia l'ascoltatore. Il groove è tutto quello che serve e la band marchigiana si immerge in esso. Nel suono (nell'insieme ben equilibrato) si denota una sufficiente intesa fra i componenti. La band è un trio ed è composto dai fratelli Barchiesi, Andrea (basso) e Nicola (batteria) e da Nicola Paccagnani (voce e chitarra).
Sporco blues fra i solchi ottici, d'impatto la maggior parte dei brani, come ad esempio "Goin'Out West" e tuttavia di tanto in tanto si possono estrapolare influenze Wolfmother. Ma i nostrani Stephen Dedalus hanno una caratteristica differente dagli australiani, ossia l'inconsapevole mediterraneità che generalmente contraddistingue innatamente le band italiane. Nel nostro bagaglio culturale risiede comunque un certo modo di comporre e di concepire la linea melodica e che non sfigura nell'insieme ruvido e diretto del Rock sudista e stradaiolo.
Divertono e si divertono nelle dodici tracce che compongono il disco, pur essendo una band giovane, formata nel 2009 con alle spalle il demo "Amateur Homemade" seguito dall'album "Smoke" del 2010.
Frangenti Folk si intravedono fra le composizioni, tanto per aggiungere un ingrediente in più nel sound, che resta relegato nello spettacolare e ruvido teatro del Rock.
Le sensazioni adrenalitiche sono stimolate spesso e una disturbatrice in campo è "Right Here", con la polvere di strada annessa. Vecchio Blues striminzito al limite del primitivo Robert Leroy Johnson in "Doctor's Pills Psycho - Paranoid Blues", solo ovviamente più moderno ed elettrico di quello del maestro degli anni '30.
Da sottolineare la vigorosa, convinta ed appropriata interpretazione vocale di Nicola Paccagnani. Atmosfere più grevi ma sempre cariche di groove in "War Maker", uno dei movimenti più interessanti dell'intero lavoro.
Il Rock quando si infrange nel Blues in sintesi è questo ed i Stephen Dedalus lo hanno capito ed assimilato a dovere. Ascoltate la strumentale "Billy B." e godete di questa disarmante verità. Non si osa in "Say It Right", piuttosto si vive la musica fra amicizie e storie di ordinaria quotidianità, il tutto con spirito ed ironia.
Ma cosa volete che aggiunga, il Rock o lo si ha dentro o non lo si ha! E' uno stile di vita e chi lo scimmiotta è semplicemente patetico.
Complimenti a questi giovani che nel loro DNA comunque portano il seme primordiale del genere che, piaccia o meno, non avrà mai fine ma solo evoluzioni.
Consigliato ai Rockers di tutto il mondo, ma.... alzate il volume, altrimenti godrete solo a metà! MS
300 Three Hundred
Distribuzione italiana: si
Genere: Rock Blues
Support: CD - 2011
Stradaiolo e crudo il Rock del trio Stephen Dedalus, quello che non ha bisogno di effetti speciali per colpire in faccia l'ascoltatore. Il groove è tutto quello che serve e la band marchigiana si immerge in esso. Nel suono (nell'insieme ben equilibrato) si denota una sufficiente intesa fra i componenti. La band è un trio ed è composto dai fratelli Barchiesi, Andrea (basso) e Nicola (batteria) e da Nicola Paccagnani (voce e chitarra).
Sporco blues fra i solchi ottici, d'impatto la maggior parte dei brani, come ad esempio "Goin'Out West" e tuttavia di tanto in tanto si possono estrapolare influenze Wolfmother. Ma i nostrani Stephen Dedalus hanno una caratteristica differente dagli australiani, ossia l'inconsapevole mediterraneità che generalmente contraddistingue innatamente le band italiane. Nel nostro bagaglio culturale risiede comunque un certo modo di comporre e di concepire la linea melodica e che non sfigura nell'insieme ruvido e diretto del Rock sudista e stradaiolo.
Divertono e si divertono nelle dodici tracce che compongono il disco, pur essendo una band giovane, formata nel 2009 con alle spalle il demo "Amateur Homemade" seguito dall'album "Smoke" del 2010.
Frangenti Folk si intravedono fra le composizioni, tanto per aggiungere un ingrediente in più nel sound, che resta relegato nello spettacolare e ruvido teatro del Rock.
Le sensazioni adrenalitiche sono stimolate spesso e una disturbatrice in campo è "Right Here", con la polvere di strada annessa. Vecchio Blues striminzito al limite del primitivo Robert Leroy Johnson in "Doctor's Pills Psycho - Paranoid Blues", solo ovviamente più moderno ed elettrico di quello del maestro degli anni '30.
Da sottolineare la vigorosa, convinta ed appropriata interpretazione vocale di Nicola Paccagnani. Atmosfere più grevi ma sempre cariche di groove in "War Maker", uno dei movimenti più interessanti dell'intero lavoro.
Il Rock quando si infrange nel Blues in sintesi è questo ed i Stephen Dedalus lo hanno capito ed assimilato a dovere. Ascoltate la strumentale "Billy B." e godete di questa disarmante verità. Non si osa in "Say It Right", piuttosto si vive la musica fra amicizie e storie di ordinaria quotidianità, il tutto con spirito ed ironia.
Ma cosa volete che aggiunga, il Rock o lo si ha dentro o non lo si ha! E' uno stile di vita e chi lo scimmiotta è semplicemente patetico.
Complimenti a questi giovani che nel loro DNA comunque portano il seme primordiale del genere che, piaccia o meno, non avrà mai fine ma solo evoluzioni.
Consigliato ai Rockers di tutto il mondo, ma.... alzate il volume, altrimenti godrete solo a metà! MS
lunedì 2 aprile 2012
Davide Matrisciano
DAVIDE MATRISCIANO - Traffico Di Pulsazioni
Autoproduzione
Genere: Ambient - Electro
Supporto: MP3 - 2012
"Traffico di pulsazioni (9 modi di intendere il frastuono)" è il debutto Ambient ed Electro del musicista Davide Matrisciano. Il giovane autore si occupa di musica sin dall'età di tredici anni ed oggi porta a compimento il sogno di realizzare il primo disco. Nella sua crescita culturale si possono nominare influenze quali Philip Glass, The Alan Parsons Project, Wim Mertens, Craig David, Patrick Doyle, John Cage, Terry Riley, John Adams, Maurice Ravel, Karlheinz Stockhausen, Steve Reich, Jean Michel Jarre, Olivier Messiaen, The Divine Comedy, Le orme, Banco del Mutuo Soccorso, PFM su tutti. Ma quello che riesce a comporre come one man band, è musica essenzialmente elettronica. Tuttavia nelle nove tracce che compongono l'album, si possono estrapolare condizioni anche vintage, malgrado il suono non lo evidenzi a dovere, vuoi perchè la strumentazione è più attuale e vuoi anche per uno stile alquanto moderno.
"Sistematico (Giorno Acefalo)" è la breve introduzione aurea che trasporta l'ascoltatore nel viaggio psichedelico ed elettronico del disco. Quindi è la volta di "Gente In Piazza", una sezione sonora che potrebbe essere avvicinata anche ai nostrani Goblin, quelli più cinematografici, anche se la strumentazione è logicamente differente.
"Passeggio Tra Luci Psichedeliche" è uno scorcio alla Jellow Magic Orchestra, band nipponica di musica elettronica, ora io non sono a conoscenza del fatto che l'autore conosca la band in questione o meno, resta il fatto che l'idea sonora è alquanto similare. Cambi di tempo ed umorali staccano l'ascolto rendendolo più fruibile. "Aria Nuotatrice" parte con spensieratezza ed un andamento ritmico quasi in stile Police, per poi addentrarsi in un turbinio di tastiere che variano dal Prog al classico, ma tutto è relativamente breve, Matrisciano si diverte a giocare con i suoni e le sensazioni, spesso fuorviando l'ascoltatore. "Spine Inermi" si basa ancora su brevi ritmiche elettroniche e basi di tastiere, suoni che riempiono la mente e che possono far viaggiare fuori dalla realtà, come spesso capita con la musica Ambient. Bello il frangente pianistico. Qualcosa di differente è "Incredibili Visioni", più lineare nella struttura e armonicamente equilibrata. Si torna alle lievi nenie orecchiabili in stile Goblin con "Noia E Affanno", musica sfuggente, leggera e comunque legata ad un giro armonioso di facile assimilazione. Più intimistica "Corolle Di Grida", mentre "Ho Frenato La Cascata" è come correre lentamente in un sogno, una sensazione a cavallo fra l'angoscia ed il piacere.
Sono tutti brani di una durata media di tre minuti e sicuramente faranno la gioia di tutti coloro che amano lo stile Ambient ed elettronico, perchè le sensazioni che scaturiscono dall'ascolto sono molteplici e non proprio scontate. Certamente a questo disco si devono avvicinare i più aperti di mente di voi, ma vadrete che troverete dei buoni spunti per estraniarvi dalla realtà. Il titolo "Traffico Di Pulsazioni" calca proprio a pennello, perfetto specchio del contenuto. Mi sento solo di consigliare all'autore di dare più continuità ai brani, o perlomeno un crescendo sonoro per creare più enfasi, ma l'artista non sono io... (MS)
Autoproduzione
Genere: Ambient - Electro
Supporto: MP3 - 2012
"Traffico di pulsazioni (9 modi di intendere il frastuono)" è il debutto Ambient ed Electro del musicista Davide Matrisciano. Il giovane autore si occupa di musica sin dall'età di tredici anni ed oggi porta a compimento il sogno di realizzare il primo disco. Nella sua crescita culturale si possono nominare influenze quali Philip Glass, The Alan Parsons Project, Wim Mertens, Craig David, Patrick Doyle, John Cage, Terry Riley, John Adams, Maurice Ravel, Karlheinz Stockhausen, Steve Reich, Jean Michel Jarre, Olivier Messiaen, The Divine Comedy, Le orme, Banco del Mutuo Soccorso, PFM su tutti. Ma quello che riesce a comporre come one man band, è musica essenzialmente elettronica. Tuttavia nelle nove tracce che compongono l'album, si possono estrapolare condizioni anche vintage, malgrado il suono non lo evidenzi a dovere, vuoi perchè la strumentazione è più attuale e vuoi anche per uno stile alquanto moderno.
"Sistematico (Giorno Acefalo)" è la breve introduzione aurea che trasporta l'ascoltatore nel viaggio psichedelico ed elettronico del disco. Quindi è la volta di "Gente In Piazza", una sezione sonora che potrebbe essere avvicinata anche ai nostrani Goblin, quelli più cinematografici, anche se la strumentazione è logicamente differente.
"Passeggio Tra Luci Psichedeliche" è uno scorcio alla Jellow Magic Orchestra, band nipponica di musica elettronica, ora io non sono a conoscenza del fatto che l'autore conosca la band in questione o meno, resta il fatto che l'idea sonora è alquanto similare. Cambi di tempo ed umorali staccano l'ascolto rendendolo più fruibile. "Aria Nuotatrice" parte con spensieratezza ed un andamento ritmico quasi in stile Police, per poi addentrarsi in un turbinio di tastiere che variano dal Prog al classico, ma tutto è relativamente breve, Matrisciano si diverte a giocare con i suoni e le sensazioni, spesso fuorviando l'ascoltatore. "Spine Inermi" si basa ancora su brevi ritmiche elettroniche e basi di tastiere, suoni che riempiono la mente e che possono far viaggiare fuori dalla realtà, come spesso capita con la musica Ambient. Bello il frangente pianistico. Qualcosa di differente è "Incredibili Visioni", più lineare nella struttura e armonicamente equilibrata. Si torna alle lievi nenie orecchiabili in stile Goblin con "Noia E Affanno", musica sfuggente, leggera e comunque legata ad un giro armonioso di facile assimilazione. Più intimistica "Corolle Di Grida", mentre "Ho Frenato La Cascata" è come correre lentamente in un sogno, una sensazione a cavallo fra l'angoscia ed il piacere.
Sono tutti brani di una durata media di tre minuti e sicuramente faranno la gioia di tutti coloro che amano lo stile Ambient ed elettronico, perchè le sensazioni che scaturiscono dall'ascolto sono molteplici e non proprio scontate. Certamente a questo disco si devono avvicinare i più aperti di mente di voi, ma vadrete che troverete dei buoni spunti per estraniarvi dalla realtà. Il titolo "Traffico Di Pulsazioni" calca proprio a pennello, perfetto specchio del contenuto. Mi sento solo di consigliare all'autore di dare più continuità ai brani, o perlomeno un crescendo sonoro per creare più enfasi, ma l'artista non sono io... (MS)
Labirinto Di Specchi
LABIRINTO DI SPECCHI - Hanblecheya
Lizard Records
Distribuzione italiana: BTF
Genere: Prog Psichedelico
Support: CD - 2010
E’ con estremo piacere che mi trovo a narrare le vicissitudini Progressive di una nuova band italiana, a testimonianza che il genere, malgrado le esili vendite, non cede passo. Infatti il Prog da noi è rivolto ad un pubblico di irriducibili cultori, come se la ricerca dei suoni, i viaggi mentali e le emozioni forti non siano più alla portata di tutti. Probabilmente non è solo un discorso mediatico o di pubblicità, oggi poi con internet si può sopperire a questa cosa, credo piuttosto sia la pigrizia e la voglia di “non pensare” degli individui che sta tristemente dilagando sempre più. Ma il genere stesso, negli anni è comunque quasi sempre rimasto sussurrato, di culto e le band stesse hanno sempre rivolto lo sguardo verso la fonte degli anni ’70, suggendone l’essenza. Tuttavia la bellezza di questa musica è cristallina, tanto che il tempo sembra non avere incidenza.
L’ottima Lizard tira fuori dal cilindro l’ennesima sorpresa, il Labirinto Di Specchi e gia dal nome si ha la certezza di avere in mano un prodotto di Prog Italiano. La bella copertina riesce a descrivere l’inquietudine e la spiritualità dell’album, il quale narra proprio dello spirito degli Indiani d’America in un contesto cosmico. Spazio dunque alla Psichedelìa , a tratti supportata anche da un violoncello, quello dell’ospite Michele Sanchini, tanto per rappresentare comunque la mediterraneità del suono. Per entrare maggiormente dentro il discorso anni ’70, il quintetto composto da Raffaele Crezzini (batteria), Gabriele Marroni (chitarra), Filippo Menconi (basso), Andrea Valerio (tastiere) e Diego Samo (Tastiere Synth), si avvale della collaborazione di una voce narratrice storica, quella di Paolo Carelli dei Pholas Dactylus., gradito ritorno.
Chitarre elettriche spezzano spesso il suono onirico delle tastiere synth, rendendo l’ascolto un volteggiare nell’immaginifico tratto cosmico della mente. I ritmi cambiano, il suono evolve su se stesso, alternando Prog classico a Space Rock, per un risultato appagante nella sostanza. Si rimane piacevolmente colpiti davanti alle fughe strumentali di “La Maschera Della Visione”, brano che farà scorrere i brividi sulla pelle dei nostalgici dei tempi che furono. Spazio a composizioni ipnotiche e fuorvianti come “Fantasia”, dove la Psichedelìa si lascia stuprare da una chitarra classica e dal Reggae! Crescendo musicale che riempie l’ascolto, grazie anche ad una più che discreta produzione sonora. E’ alquanto sorprendente che giovani band all’esordio siano portatrici del credo sonoro degli anni ’70, più delle band storiche per eccellenza, le quali pur rimanendo in ambito Progressive, hanno modificato il proprio stile in base alla realtà di oggi.
Passione per una musica che ha segnato indelebilmente le sorti del Rock facendolo uscire dal corpo, sede nella quale generalmente è sempre risieduto. Per questo mi sento di consigliare l’ascolto di “Hanblecheya”, assaporate anche voi l’essenza dello spirito, lasciarsi andare è anche un modo di giustificare l’esistenza della musica, una volta tanto viatico per uscire dallo stress giornaliero di una società che corre sempre di più e che non ha il tempo di soffermarsi per riflettere. Lo spirito indiano aleggia su di noi e nella musica del Labirinto Di Specchi. Interessanti e coraggiosi. MS
Lizard Records
Distribuzione italiana: BTF
Genere: Prog Psichedelico
Support: CD - 2010
E’ con estremo piacere che mi trovo a narrare le vicissitudini Progressive di una nuova band italiana, a testimonianza che il genere, malgrado le esili vendite, non cede passo. Infatti il Prog da noi è rivolto ad un pubblico di irriducibili cultori, come se la ricerca dei suoni, i viaggi mentali e le emozioni forti non siano più alla portata di tutti. Probabilmente non è solo un discorso mediatico o di pubblicità, oggi poi con internet si può sopperire a questa cosa, credo piuttosto sia la pigrizia e la voglia di “non pensare” degli individui che sta tristemente dilagando sempre più. Ma il genere stesso, negli anni è comunque quasi sempre rimasto sussurrato, di culto e le band stesse hanno sempre rivolto lo sguardo verso la fonte degli anni ’70, suggendone l’essenza. Tuttavia la bellezza di questa musica è cristallina, tanto che il tempo sembra non avere incidenza.
L’ottima Lizard tira fuori dal cilindro l’ennesima sorpresa, il Labirinto Di Specchi e gia dal nome si ha la certezza di avere in mano un prodotto di Prog Italiano. La bella copertina riesce a descrivere l’inquietudine e la spiritualità dell’album, il quale narra proprio dello spirito degli Indiani d’America in un contesto cosmico. Spazio dunque alla Psichedelìa , a tratti supportata anche da un violoncello, quello dell’ospite Michele Sanchini, tanto per rappresentare comunque la mediterraneità del suono. Per entrare maggiormente dentro il discorso anni ’70, il quintetto composto da Raffaele Crezzini (batteria), Gabriele Marroni (chitarra), Filippo Menconi (basso), Andrea Valerio (tastiere) e Diego Samo (Tastiere Synth), si avvale della collaborazione di una voce narratrice storica, quella di Paolo Carelli dei Pholas Dactylus., gradito ritorno.
Chitarre elettriche spezzano spesso il suono onirico delle tastiere synth, rendendo l’ascolto un volteggiare nell’immaginifico tratto cosmico della mente. I ritmi cambiano, il suono evolve su se stesso, alternando Prog classico a Space Rock, per un risultato appagante nella sostanza. Si rimane piacevolmente colpiti davanti alle fughe strumentali di “La Maschera Della Visione”, brano che farà scorrere i brividi sulla pelle dei nostalgici dei tempi che furono. Spazio a composizioni ipnotiche e fuorvianti come “Fantasia”, dove la Psichedelìa si lascia stuprare da una chitarra classica e dal Reggae! Crescendo musicale che riempie l’ascolto, grazie anche ad una più che discreta produzione sonora. E’ alquanto sorprendente che giovani band all’esordio siano portatrici del credo sonoro degli anni ’70, più delle band storiche per eccellenza, le quali pur rimanendo in ambito Progressive, hanno modificato il proprio stile in base alla realtà di oggi.
Passione per una musica che ha segnato indelebilmente le sorti del Rock facendolo uscire dal corpo, sede nella quale generalmente è sempre risieduto. Per questo mi sento di consigliare l’ascolto di “Hanblecheya”, assaporate anche voi l’essenza dello spirito, lasciarsi andare è anche un modo di giustificare l’esistenza della musica, una volta tanto viatico per uscire dallo stress giornaliero di una società che corre sempre di più e che non ha il tempo di soffermarsi per riflettere. Lo spirito indiano aleggia su di noi e nella musica del Labirinto Di Specchi. Interessanti e coraggiosi. MS