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sabato 20 gennaio 2018

Pierpaolo Bibbò

PIERPAOLO BIBBO’ – Via Lattea
M.P. & Records/GT Music
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2018

Ritorna il cantautore del Prog Pierpaolo Bibbò dopo il buon “Genemesi” del 2012, e lo fa con un argomentazione che gli sta molto a cuore, l’amore per la propria terra. La Sardegna è al centro del concept, con le proprie gioie ed i propri dolori, una terra di colori, musici antichi, e dalle lande aride e secche, una terra abitata da uomini silenziosi e da suoni magici. Luoghi e città raccontati dall’artista anche sotto una visione a tratti dolorosa, ma sentita e piena d’ amore. Bibbò (voce, tastiere/programmazioni, chitarre acustiche ed elettriche, chitarra basso, arrangiamenti), intraprende questo percorso assieme a Simone Spano (batteria acustica e percussioni) e Fabio Orecchioni (supervisione artistica).
Il risultato si intitola “Via Lattea” ed è composto da sette canzoni. Le tastiere giocano un ruolo importante, disegnando nell’aria ambienti ampi, supportando melodie che fanno da ossatura al brano.” Dal Nuraghe Alla Via Lattea” inizia proprio così il percorso sonoro, frangenti pacati e spaziosi si alternano a programmazioni più ritmate. Questo brano strumentale potrebbe tranquillamente fare parte della discografia Ayreon, ovviamente di quelli più elettronici e meno metallici, giochi sonori che vanno a perscrutare proprio lo spazio. Più elettrica “17 Febbraio 1943”, un ritmo serrato che ben si avvinghia con il canto di Bibbò. Qui non nascondo dei deja vu che vanno a parare nel nostrano Prog degli anni ’70, specialmente nell’attimo più pacato dove un piano disegna cerchi sonori cari a band come Le Orme. Per chi ama il genere è davvero un bell’ascoltare.
“Nient’Altro” apre la strada al Bibbò più cantautorale, voce e piano ci raccontano momenti intimi e riflessivi, il lato più caldo dell’artista.
Più ricercata nell’ambito compositivo “Corso Vittorio Emanuele II (1962)”, altra canzone che lascia intravedere balzi temporali fra passato e presente. Un certo Battiato potrebbe venire alla mente durante l’ascolto, il che la dice lunga sulla qualità del brano.
Ciò che si percepisce all’ascolto di ogni brano è la libertà con cui l’artista si muove, senza limiti o costrizioni di sorta, un volo libero che di certo è contagioso all’ascolto, almeno, io personalmente questo fattore l’ho captato. Più semplice ed immediata “Il Matto Del Villaggio” del quale apprezzo i giochi eco della voce. Tornano la chitarra elettrica ed i cambi di tempo in “Quando Rinascerò”, a grandi linee si percorrono binari fra canzone e Prog proprio in stile Fabio Zuffanti quello solista.
Il disco si conclude con “Ho Quasi Smesso Di Sognare”, una nota di malinconia e di velato pessimismo che comunque donano carattere al movimento musicale.

Un ritorno importante, sentito e schietto, un disco che non ha nessun compromesso, una storia importante da raccontare e tanto sentimento, tutti ingredienti che riescono ad emozionare ed è questo che la musica deve fare. Missione compiuta. MS

Psicosuono

PSICOSUONO – Metropoli
Autoproduzione
Genere: Rock/Progressive Rock
Supporto: cd – 2017


Terzo lavoro in studio per la band  padernese nata nel 2004, a cinque anni dall’ottimo “Eta Carinae”. Stefano De Marchi, chitarrista e leader della formazione, negli anni ha strutturato il dna del gruppo rafforzandolo con l’esperienza di chi si getta anima e corpo nel proprio lavoro. Non soltanto passione dunque ma subentra anche la professionalità, e questo lo si evince nell’ escalation dei tre dischi in studio. Con lui sempre Elisabetta Giglioli alla voce in più Elisa Costanzo (voce), Betty Accorsi (sax), Claudio Bellamacina (chitarra), Dario Merati (basso) e Matteo Severini (batteria e percussioni). Il disco si presenta accompagnato dai colorati dipinti di Gianfranco Caruso che ben si sposano alla musica di “Metropoli”.
Nove canzoni di media e lunga durata, movimenti strutturali spesso ricercati con interventi Jazz, grazie soprattutto al lavoro del sax. Questo già lo si può captare sin dall’iniziale “Clochard”. Bellissimo il solo di chitarra elettrica imponente e granitico, un grido che sembra tirare fuori l’anima rabbiosa del clochard in questione, ma ancora di più apprezzo l’arpeggio in stile Genesis primo periodo. La voce di Giglioli è malleabile, di personalità, espressiva e controllata, buono strumento per il testo. Un brano Prog a tutti gli effetti, che dimostra sin da subito una crescita dei Psicosuono notevole. Gioco a due voci per “Walzer”, canzone dal refrain giocoso e da cantare assieme a loro, facile da stampare nella mente, tuttavia non esulano importanti assolo strumentali che rendono l’ascolto ancora una volta fresco e variegato. Questa è una carta vincente che non vale solo per i Psicosuono, ma è nelle mani di chi ha capito come far godere di musica l’ascoltatore.
La title track è spinta dal sax e dai solo di chitarra per giungere poi all’ascolto del brano più lungo dell’album dal titolo “Alter-Azione”. Qui staziona il sound Psicosuono, anche quello degli anni passati, un break iniziale dal sapore Folk, girotondo iniziale che sfocia nel buon Rock ricercato. In questo termine va compreso davvero molto materiale, diciamo ci si può trovare all’interno tutta la cultura dei musicisti in esame, facendo propendere per un prodotto di forte personalità. Parla da se l’assolo finale in crescendo.
Si ritorna verso le sfumature Jazz con “Passo Dopo Passo”, quasi da big band. Qualcuno potrebbe trovare in esso frammenti di Matt Bianco. Il Jazz ed il Blues sono alla base della musica moderna ed i giovani Psicosuono conoscono la storia. Provate durante l’ascolto a tenere fermi i piedi o le mani, vi troverete inesorabilmente a sostenere il ritmo in maniera inconsapevole ed incontrollata.
“La Notte Del Vostro Domani” vira nuovamente, la musica dei Psicosuono non sta ferma un attimo, si sposta, ritorna, ammalia e colpisce. Il basso apre  l’ultimo brano dal titolo “Blues Ubriaco” e l’andamento in effetti è proprio così caracollante. Ma il disco non finisce effettivamente qui, perché  al suo interno si può godere anche di due bonus track, “Clochard” nella versione inglese e appunto “Drunk Blues”.
Quello che non capisco è perché i Psicosuono ancora non hanno l’attenzione di una label importante alle spalle, perché sono davvero fuori della media dei prodotti di oggi. Se poi ci aggiungo che sono giovani ed italiani, lo stupore in me è ancora maggiore. Probabilmente la musica non è davvero per tutti, specie oggi, ma credetemi se vi dico che “Metropoli” è una piccola gemma.  Musica a 360 gradi. MS


domenica 14 gennaio 2018

Feronia

FERONIA – Anima Era
Andromeda Relix
Distribuzione: GT Music
Genere: Metal Progressive
Supporto: cd – 2017


Per un mio preciso modo di vivere la musica, essa deve essere una confluenza di fattori, ad iniziare dalla storia, ossia avere in se qualcosa del passato, avere personalità che modifichi  in un proprio stile questo passato, un mix di generi (se possibile), buone melodie da ricordare e quindi non soltanto ricerca, ed infine mi deve toccare le corde dell’anima. Troppe cose vero? In effetti non sempre i prodotti musicali riescono ad avere contemporaneamente tutti questi fattori al proprio interno, anche perché ogni ascoltatore ha un gusto personale a se, quindi inevitabilmente difficile accontentare tutti. Eppure anche nel 2017 certe emozioni non mancano e spesso derivano da generi musicali non prettamente popolari, come ad esempio il Progressive Metal.
I Feronia provengono da Torino e miscelano elementi Progressive Rock all’Heavy Metal senza disdegnare ingredienti epici. Sono composti da Elena Lippe (voce), Fabio Rossin (chitarra), Daniele Giorgini (basso) e Fabrizio Signorino (batteria). Si formano nel 2015 e l’intento è quello di riunire nella musica messaggi importanti quali poesia, ecologia, arte, psicologia ricerca spirituale, consapevolezza, politica e molto altro ancora. L’uomo non è al centro di tutto, neppure la donna, piuttosto nel pianeta tutto è incluso. Questa visione a “spirale” o meglio ancora “circolare” delle cose, ispira il nome Feronia, ninfa di origine etrusca (c’è chi dice Dea) che fa parte del pantheon delle Dee Italiche.
Molta carne al fuoco dunque, a partire da “Priestess Of The Ancient New”, prima canzone dell’album. La chitarra alza subito una barriera sonora importante e la voce di Elena ben si staglia nel contesto senza strafare, puntando sull’interpretazione piuttosto che alla fisicità. I più attenti di voi noteranno richiami a band come Queensryche, Nightwish e Rush.
Il sound Feronia tuttavia ha qualcosa di “italico”, i riferimenti si, ma metabolizzati, così lo si può evincere anche all’ascolto di “Atropos”. Il ritmo rimane sostenuto nella successiva “Wounded Healer”, canzone muscolosa contenente un buon assolo di chitarra, seppur di breve durata. Discorso analogo per “Garden Of Sweet Delights”, quasi quattro minuti di lavico metallo con un buon ritornello. Non stonerebbe nel mastodontico “Operation: Mindcrime” dei Queensryche, come non ci stonerebbe “Free Flight”. Più ricercata anche nelle ritmiche “Humanist”, qui i giochi sono differenti, si accorpano differenti caratteristiche del Metal, soprattutto quelle delle band già citate.
C’è anche un frangente maggiormente pacato dal titolo “Innocence”, qui la prestazione vocale è più matura, Elena Lippe gioca in casa. Ancora scintille con “Depths Of Self Delusion”, un alone di oscurità aleggia fra le note, quel velo che dona al brano un fascino in più. “Exile” non aggiunge e non toglie nulla da quanto detto, mentre più giocosa risulta “Thumbs Up!”, altra vetrina per Elena. La ritmica è rodata e oliata a dovere. Il disco si chiude con un pugno allo stomaco per graniticità, “A New Life” sa dove colpire.

Tengo a sottolineare anche un buon artwork di accompagnamento al disco, in versione cartonata e contenente un dettagliato libretto con testi e foto. Un prodotto maturo, professionale e ben registrato. Se vi capita o se lo cercate, dategli un attento ascolto. MS

Aelementi

AELEMENTI – Una Questione Di Principio
Andromeda Relix – Lizard
Genere: Progressive Rock
Supporto: cd – 2017


I capitolini Aelementi con “Una Questione Di Principio” sono all’esordio discografico, ma la loro formazione parte dal 2007. In questi anni hanno plasmato la personalità miscelando (proprio come gli elementi della natura, aria, vento, acqua e fuoco) melodia, armonia, timbro e ritmo nel contesto del Progressive Rock. Ricerca e fisicità si manifestano fra le note delle sette canzoni che compongono l’album. Anche il passato ed il presente si scrutano da vicino, cercando di dare alla musica un valore aggiunto per uno sguardo verso il futuro.
Il gruppo è formato da Daniele Lulli (chitarra), Francesca Piazza (voce), Manuele D’Anastasio (batteria), Dario Pierini (tastiere) e Angelo Celani (basso).
Comincia il breve intro dal titolo “Principio” basato principalmente sulle tastiere, trainando verso l’ascolto di “Lontananza”. Ciò che subito appare in evidenza è la cura per le melodie e la raffinatezza di certi arrangiamenti, specie nel gioco vocale maschile/femminile. Un equilibrio fra canzone, Prog e Rock. Da bravo pezzo Progressive Rock al suo interno non mancano di certo cambi umorali e di tempo, anche nelle chitarre elettriche che ad un certo momento fanno anche la voce grossa. Il gusto per la melodia è spiccato, così la composizione è un perfetto equilibrio fra ricerca di assolo con relativa buona tecnica strumentale e la classica e ruffiana canzone italiana, sempre gradevole e funzionale. Si perché in fin dei conti anche il Progster estremista non lo ammette mai, ma gode di certi frangenti melodici di facile memorizzazione.
“Vuoto”  è un altro esempio. Ad esempio Le Orme nel tempo ci hanno regalato degli album, specie nella fine degli anni ’70 e negli ’80 in perfetto equilibrio fra questi fattori, gli Aelementi non si distanziano molto da questo modus operandi. Gradisco molto il fatto di spezzare la canzone con efficaci assolo.
Il lato più muscoloso della band scaturisce in “Straniero”, un passaggio quasi nel New Prog, anche lui colmo di cambi di ritmo e comunque sempre sostenuto e condotto dalla voce di Francesca Piazza.
Gradevole e rilassante “Delirio” per poi giungere al brano più lungo dell’album dal titolo “Voce” con i suoi quasi nove minuti. Canzone dal portamento di classe, un andamento cantautorale con un buon swing. Poi come da manuale il ritmo cambia e vai nuovamente con il Prog.
Il disco si conclude con “Addio”, che speriamo invece sia soltanto un arrivederci, perché margini di emozioni all’ascolto di questa musica ce ne sono e di ampi. Ma a parte questi giochi di parole, “Addio” per chi vi scrive è uno dei momenti migliori dell’album, anche se tutto in generale si mantiene su un buono standard.
“Una Questione Di principio” è un album orecchiabile, che risiede a cavallo fra il cantautorato, ed il Prog Rock, una via di mezzo prettamente italica sotto molteplici aspetti. Un album che scorre piacevolmente, la musica deve fare anche questo, soprattutto deve essere di buona compagnia. MS


giovedì 11 gennaio 2018

Tom Moto

TOM MOTO - Junk
Lizard Records / BTF / Pick Up / Eventyr / GT Music
Distribuzione italiana: si
Genere: Jazz Rock
Support: CD – 2008


Tom Moto è un trio che si forma nel 2006 a Pisa, composto da Marco Calcaprina (tromba e trombone), Giulio Tosi (basso e chitarra) e Juri Massa (batteria). Una band particolare, con un nome altrettanto particolare, ispirato dal romanzo di Charles Bukowski dal titolo “Post Office”. Il senso dell’arte musicale da loro espresso è decisamente spiccato e poliedrico. La musica che ne scaturisce è una specie di Jazz Rock misto ad un approccio Punk, ma io mi sentirei di coniare un termine differente: Musica Hard Contemporanea.
L’atteggiamento aggressivo allo strumento, a volte nervoso è riconducibile anche a certo tipo di Rock Progressivo e precisamente a band come i maestri King Crimson. Non siamo avanti a Rock Progressivo nel puro senso del termine, ma l’approccio sperimentale mi fa relegare il trio anche in questo calderone.
“Junk” è un debutto importante nel vero senso della parola,. In esso si ascolta una band gia matura, malgrado il poco tempo di assemblaggio. Le date live sono state sicuramente ottima maestra . Ovviamente la ritmica è il polmone importante e questo lo avrete capito anche dalla formazione, una vera e propria macchina da guerra ben oliata e dotata di una intesa eccellente. “Junk” contiene dodici brani per una durata di sessantatre minuti. Non si esula alla legge dell’intro neppure per una band che suona un genere così di nicchia, per cui apre proprio “Intro”, un pezzo dall’andamento a dir poco monolitico. Il vero primo pezzo si intitola “Proboscide” e lascia stesi. Fughe ritmiche con virtuosismi di tromba, lasciano spazio ad un trascinante dialogo fra gli strumenti, con la giunta del Sax, quello di Alessandro Froli. Tutto questo comunicare, sfocia in un muro sonoro massiccio, un Jazz come dicevo all’inizio dal sapore Re Cremisi. C’è trasporto in “Egghead”, un pezzo privo di un vero e proprio ritornello, ricco di cambi di tempo repentini che si alternano fra durezza ed armonia. Una sfumata di colori che pitturano in maniera astratta la nostra mente. I componenti si muovono con circospezione, ma allo stesso tempo con decisione. Nel disegno della copertina c’è un polipo, ottima rappresentazione visiva del contenuto musicale espresso, avvolgente da molti lati.
Esistono brani che definirei Stand by, ossia che intramezzano la musica narrando la storia sporca del sogno americano proprio ispirato dallo stesso Bukowski. Questi si chiamano “Post Office”. Nella parte uno c’è un fluttuare di note a tratti disarmonico e ancora una volta questo accade fra il sax e la tromba. Ma il suono esplode nuovamente con “XL”. Impossibile resistere a questa ritmica, sperimentazione di prestigio, tanto da sembrare che i ragazzi non solo suonino, ma assaporino gli strumenti, in un vero rapporto fisico.
Ovvio che essendo un trio basso, batteria , tromba, la ritmica è la trave portante di questa costruzione, ma credetemi quando vi dico che il risultato è irresistibile.
Ritorna la seconda parte di “Post office” e nuovo dialogo fra testo vocale e strumentazioni. E si riparte anche questa volta a spron battuto con “Sonata”, questa volta però con una metrica più lineare. C’è comunque da constatare che forse siamo anche noi che cominciamo a fare l’orecchio a questo atteggiamento sonoro, ascolto dopo ascolto.
Con “Grog” lo strumento a fiato si unisce alla natura, il suo soffio si immerge nell’acqua ed emette gorgoglii di bolle. Apparentemente la sperimentazione affrontata potrebbe apparire esagerata, così non è, la musica dei Tom Moto è relegata sempre dentro certi binari musicali. La terza parte del racconto questa volta si basa su una chitarra acustica e tromba ed il viaggio continua. E’ la volta di “Dikkop” e per concludere “Animal Factory”.
I nostri si congedano spingendo sugli strumenti più che mai.

In conclusione questo “Junk” è un debutto davvero notevole, suonato da ragazzi che di grinta ne hanno da vendere. Un approccio allo strumento davvero aggressivo, che a tratti mi ricorda anche Ian Anderson con il proprio flauto. Ma non vorrei dire di più, solo che il disco gode di una produzione sonora davvero buona, specie il suono del basso….la ciliegina sulla torta. A voi ora la scelta. MS