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venerdì 30 dicembre 2016

T

T – Epistrophobia
Progressive Promotion
Distribuzione italiana: G.T. Music
Genere: New Prog
Support: cd -2016


Il polistrumentista tedesco Thomas Thielen, in arte T, torna anche quest’anno puntuale sulla scena musicale Progressiva. “Epistrophobia” è il sesto lavoro in studio, e tengo a rimarcare la buona qualità delle precedenti realizzazioni. Infatti Thielen è riuscito nell’arduo compito di miscelare tecnica e melodia in eque parti, lasciando sempre alla fine dell’ascolto quella sensazione di sazietà mentale e di soddisfazione.
“Epistrophobia” è la seconda parte del poema epico scritto nel 2015 “Fragmentropy”, tanto che  i tre brani, o per meglio dire le tre suite che compongono il nuovo album si intitolano “Chapter Four: A Poet’s Downfall”, “Chapter Five: Contingencies” e “Chapter Six: The Place Beyond The Skies”. Importante dunque anche la parte testuale delle canzoni, ispirate all’avanguardia della poesia moderna de “Lettera Del Veggente” di Arthur Rimbaud: “Je Est Un Autre” (Io E’ Un Altro).
Il disco ha una durata di 78 minuti, il che la dice lunga sull’approccio musicale dell’artista. E quindi suite sia, ad iniziare dal capitolo quattro. T gioca molto sul crescendo emotivo e sonoro, chitarre di natura Pinkfloydiana intervengono dopo un intro Psichedelico d’atmosfera, ed è subito forte emozione. Il cantato per alcuni versi richiama alla mente l’approccio di David Bowie. Interventi elettronici vengono a supporto della complessa struttura compositiva, ricca di passaggi variegati. La cultura musicale di Thielen fuoriesce dalle composizioni dimostrando una vasta area di azione che passa dalla Psichedelia, al Prog, sia passato che moderno, quello di matrice Marillion era Hogarth su tutto.
Davvero molteplici i passaggi sognanti e di grande impatto emotivo, specie nei momenti di chitarra e per spiegarmi meglio non nascondo che a tratti mi sovvengono anche gli ultimi Anathema, non tanto per lo stile, quanto per l’approccio alla struttura del brano.
Ma come ho già accennato, T non è solo uno stile, e quando c’è da tirare fuori i muscoli, riesce a farlo con naturalezza, il polistrumentista si diverte a sondare differenti paesaggi. L’ascolto ci guadagna in fluidità lasciando la monotonia e lo scontato  in altri lidi.
La controprova deriva dal fatto che i settantotto minuti sono pressoché volati via in un attimo.
Anche questo nuovo lavoro di Thielen è da elogiare non soltanto per quanto descritto sino ad ora, ma anche per la registrazione sonora e per l’artwork che come sempre la Progressive Promotion Records cura in maniera eccellente. L’artista cresce disco dopo disco e a proposito di questo,
ci preannuncia che “Epistrophobia” sarà seguito da un terzo album contenete i capitoli sette, otto e nove. Bene così. MS


T – Fragmentropy
Progressive Promotion Records
Distribuzione Italiana: GT Music
Genere: New Prog
Supporto: cd – 2015


Come vola il tempo! Mi sembra ieri che è uscito “Psichoanorexia”, invece sono già passati due anni! Ma è sempre un piacere invecchiare con buona musica, anzi, forse è proprio quella che fa volare il tempo, perché è notorio che quando si sta bene il tempo scappa via. La buona compagnia ce la regala il polistrumentista Thomas Thielen con “Fragmentropy”, quinto sigillo della sua nobile carriera musicale.
Frammenti di storie che parlano d’amore e non, di un viaggio nel proprio essere e come in tutte le più belle storie, non c’è fine. Tre lunghi capitoli, tre suite, due di mezz’ora ed una di quasi venti minuti, questo il percorso scelto da Thielen nel raccontare ed emozionare.
Apre “Chapter One: Anisotropic Dances”, una profondità di suoni netta e pulita stupisce per bellezza, così il lento subentrare della musica rarefatta, Psichedelica e drammatica. Gli stati d’animo si susseguono fra chitarre distorte e melodie pacate, quasi in stile Marillion era Hogarth. Bella e come sempre ottima interprete la voce di Thielen. A tratti si aprono ampi scenari ariosi, squarciando nebbiosi lidi di malinconia. I frangenti migliori arrivano nelle aperture epiche sonore, quando T si lascia andare in tutta la sua imponenza, questo perché in essa sa adoperare la melodia giusta e toccante elevandola ai massimi livelli grazie all’uso degli strumenti e in principale modo delle tastiere. D’atmosfera è il gioco di voci che si aggirano attorno alla nostra mente all’ascolto, sussurrate e femminili.
“Chapter Two: The Politics Of Entropy” è New Prog Doc, ancora lo stile Marillion ultimo periodo si affaccia all’ascolto, prendendo come punto di riferimento quel capolavoro intitolato “Brave”. L’imponenza delle tastiere spesso fa scorrere sulla pelle qualche brivido, specialmente se sopra questo tappeto subentra la chitarra elettrica.
Nella musica in generale c’è una sorta di passaggio staffetta fra il passato ed il presente, chiamando in causa (come per gli album precedenti) gruppi come Radiohead, Porcupine Tree, Marillion e Genesis. Fare coincidere così tanti stili non è uno scherzo, si rischia di fare un malloppo sonoro che potrebbe lasciare solo scontenti tutti gli amanti dei differenti gruppi citati, serve equilibrio e la personalità, quella che rende alla fine  il tutto riconducibile ad un solo artista, in questo caso a T.
Il terzo capitolo “Chapter Three: The Art Of Double Binding” non  si discosta di una virgola a quanto detto sino ad ora, giocando fra gli scambi umorali e sonori, fra malinconia ed epicità.
“Fragmentropy” è un album più oscuro che chiaro, consigliato a chi durante l’ascolto vuole sentirsi toccare dentro, a colui che quando chiude gli occhi si sente sollevare da terra, ovviamente invece chi fa della musica un inno alla tecnica o quant’altro fa passare un oretta nella distrazione di sottofondo, in esso troverà molta difficoltà di assimilazione.

Per ascoltatori attenti e di ampie vedute, in teoria quello che dovrebbe essere un ascoltatore di Progressive Rock, ma che ultimamente così spesso non è. MS

Steve Hughes

STEVE HUGHES – Once We Were – Part One
Progressive Promotion Records
Distribuzione Italiana: GT Music
Genere: New Prog
Supporto: cd – 2016


Se siete fans del Prog e vi faccio alcuni nomi, sono sicuro che vi diranno qualcosa: Big Big Train, Kino, Enid. Cosa hanno in comune queste grandi band New Prog? L’ex batterista Steve Hughes. Nomi altisonanti, gruppi che hanno dato molto alla causa e ancora stanno facendo, con uno stile che equilibra la melodia con la tecnica. La formula canzone è presente, mai dimenticata nelle composizioni, così Steve Hughes al riguardo ha una notevole esperienza.
Ad un anno di distanza dal debutto solista dal titolo “Tales From The Silent Ocean”, torna con un nuovo concept, “Once We Were-Part One”. Trattasi di un viaggio nel tempo, fra passato, presente e futuro, fra amore, morte, dolore, famiglie spezzate e guerra. Argomentazioni forti per testi forti, dove l’autore  si getta a capofitto in una lunga apnea sonora. Hughes canta e suona tutti gli strumenti, ma sa circondarsi anche di importanti special guest, come Dec Burke dei Frost alla chitarra, Alex Tsentides degli Enid al basso,e poi Keith Winter alla chitarra, Angie Hughes e Katja Piel alla voce.
Un racconto importante non può che iniziare in maniera altrettanto significativa, ossia con una suite di trentatré minuti, altrimenti non saremmo nel Prog, ecco dunque “The Summer Soldier” a fugare immediatamente ogni dubbio sull’operato inciso. L’ascolto è consigliato con in mano il libretto di accompagnamento al cd con tanto di testi e disegni di Jim Trainer. Le tastiere ricoprono un ruolo importante, ci si riscontrano influenze oltre che delle band citate, anche di gruppi come IQ. Ritmi sostenuti si alternano a brevi e fugaci assolo, come quello di tastiere o chitarra, mentre il cantato è al centro della composizione. Nella suite la musica si articola con naturalezza, quasi una conseguenza stessa del suo incedere, come quando gli artisti si lasciano prendere la mano e si lasciano andare. Personalmente apprezzo maggiormente i solo di chitarra ariosi misti fra Pink Floyd e Genesis, come il New Prog ha saputo elargire nel tempo. Non esulano interventi di ritmica elettronica a spezzare l’ascolto. Nel proseguo Hughes approccia al concept con un intento più popolare se mi concedete il termine. Dopo una scorpacciata sonora si passa alla formula canzone e alle melodie orecchiabili, come nella fragile e malinconica “A New Light”. Molto bella “For Jay”, così “Kettering Road”, un mix fra IQ e Marillion, il tutto elaborato con l’accresciuta cultura musicale di oggi, dettata dalla personalità di Hughes che dimostra si di aver fatto tesoro della storia, ma anche di saperla elaborare. Brevi interventi di piano e tastiere in “Propaganda Part1”, mentre  per chi vi scrive uno dei momenti migliori del disco sono “That Could’ve Been Us” e la conclusiva “Saigo Ni Moichido”, giusto equilibrio fra armonie e Prog.
Il merito di “Once We Were-Part One” è quello di non esasperare l’ascoltatore con inutili orpelli, si bada al sodo, Hughes gioca molto sul lato emotivo dell’ascolto, lasciando spazio all’immaginazione di chi ascolta la descrizione musicale. Un film da ascoltare.
In due anni il batterista propone due album di buona fattura, ora non resta che attendere la parte due di “Once We Were” e visto i ritmi sostenuti di produzione, non credo poi accadrà chissà fra quando. MS.





STEVE HUGHES – Once We Were-Part Two
Progressive Promotion Records
Distribuzione Italiana: GT Music
Genere: New Prog
Supporto: cd – 2016


Torna il polistrumentista inglese Hughes con la seconda parte del viaggio fantastico nel tempo, fra passato, presente e futuro “Once We Were”. Con lui si alternano artisti ospiti del calibro di Angie Hughes, Katja Piel (voce), Richie Phillips (sax), Maciej Zoinowski (violino), Keith Winter, e Dec Burke (chitarra).
La musica prosegue il cammino intrapreso con l’opera precedente, alternando influenze Jazz, Reggae, Progressive e Symphonic Rock. Il disco è suddiviso in nove tracce ed è accompagnato da un bellissimo artwork cartonato ed esaustivo ad opera di Jim Trainer, supportato dal Thunted Hex Designs Laboratory. Musica da ascoltare ma anche da vedere.
Si comincia con i sei minuti di “The Game”, canzone  delicata ed aperta a coralità. Il crescendo sonoro trova l’apice nel sax di Phillips. Gradevole nel contesto anche il solo di chitarra. Sale il ritmo con “Life’s A Glitch”, brano vivace con sprazzi di elettronica e vaghi richiami agli anni ’80. Le tastiere giocano un ruolo maestro.
La breve strumentale “Propaganda: Part Two” accompagna  a “They Promise Everything”, canzone ricercata per molteplici motivi che vanno dai cambi di tempo e di umore, alla batteria elettronica per poi tornare al classico Prog con fughe di tastiere e di chitarra annesse. Uno dei momenti più belli dell’intero album. Segue “There’s Still Hope” e le atmosfere diventano inizialmente solfuree. Loop ritmici donano frangenti di luce, così i cori femminili. Si torna alla formula canzone ed al Prog Rock con “She’s”. “Spider On The Ceiling” è un esempio di come si può fare una canzone melodica breve ma non scontata, fra Reggae e Rock. Anche in questo disco Prog Rock non manca la suite, qui della durata di dodici minuti dal titolo “Clouds” e strumentale. Apre il pianoforte per incedere in atmosfere Genesiane. La suite si sviluppa come in un caleidoscopio musicale, mutando le geometrie ed i colori. Il viaggio si conclude con “One Sweet Word”, canzone che si basa molto sull’enfasi canora e corale.
Avrete capito che “Once We Were-Part Two”  è un buon disco, variegato e di classe, non a caso Steve Hughes ha suonato la batteria con band come Big Big Train, Kino ed Enid. Sa sicuramente il fatto suo. MS


mercoledì 21 dicembre 2016

Windshades

WINDSHADES – Crucified Dreams
Atomic Stuff Promotion
Genere: Gothic Metal
Supporto: Ep – 2016


Windshades è il progetto musicale di Chiara Manzoli (voce) e dal batterista Carlo Bergamaschi, creato  nel 2015 in provincia di Mantova. L’attenta Atomic Stuff Promotion non si è fatta sfuggire una band che gioca molto sull’enfasi della voce “operistica” di Chiara, un Heavy Metal dalle fosche tinte dark e gotiche di notevole presa.  Non nascondo neppure che il bell’artwork dell’ep ha giocato nel mio giudizio finale un punto in più, perché amo quando le copertine riescono a rappresentare perfettamente la musica contenuta nel prodotto. Il gruppo viene completato dalla presenza di Matteo Usberti (chitarra), Riccardo Soresina (chitarra) e Andrea Bissolati (basso).
I brani sono tre, il primo “Metafora” inizia con un riff alla Iron Maiden, così che le due chitarre giocano il ruolo di machete affilato. Rasoiate si alternano a momenti più pacati, ma nell’insieme la ritmica spinge e resta anche difficile rimanere fermi durante l’ascolto. Buono anche l’assolo di chitarra.
“Resurrection” si apre in arpeggio di chitarra, la ritmica successivamente parte in doppio pedale e il tutto assume anche tinte fosche. Interessante composizione che non esula di inevitabili accostamenti a band come Evanescence e Nightwish, tuttavia il genere è questo. A conclusione un roboante basso apre “Crucified Dreams” il brano più intrigante dell’ep. Qui i Windshades mostrano i muscoli, la sezione ritmica comprova di essere notevolmente importante nell’economia della riuscita.
L’esordio è buono, certamente sopra la media di questi prodotti, la band si mostra affiatata e preparata, le canzoni funzionano specialmente quando sono spezzate dai lancinanti solo di chitarra. Ora non resta che attendere ulteriori sviluppi, ossia la prova a lunga durata: il cd.
“Crucified Dreams” è registrato, mixato e masterizzato da Oscar Burato nell’Atomic Stuff Studio in provincia di Brescia. Lo potete trovare in formato digitale su iTunes, Spotify e tutte le principali piattaforme di download. MS


Daniel Gazzoli Project

DANIEL GAZZOLI PROJECT – Night Hunter
Street Symphonies Records / Andromeda Dischi
Genere: Heavy Metal – Virtuoso
Support: cd – 2016


Ho sempre apprezzato chi ha proposto musica Heavy Metal in stile anni ’80, anche perché per il genere non sono stati altro che i migliori. Di conseguenza ho seguito con attenzione anche la scena di chitarristi virtuosi, su tutti giusto per fare un solo nome, J.Y. Malmsteen. Resta di fatto che molto spesso ci si andava ad avvinghiare nella tela dell’esagerazione, dove il tecnicismo prendeva spesso e volentieri il sopravvento a discapito della melodia.
Anche in Italia ci siamo sempre difesi bene, una nutrita serie di chitarristi hanno dato luogo sia a concerti che a dischi interessanti. Ma non è facile riuscire a propinare questo genere ad un vasto pubblico, generalmente si relega ad una nicchia che comunque ha il suo giusto seguito.
Il perché è scritto nelle mie parole, ossia comunque la musica deve essere in qualche modo di facile memorizzazione, scale infinite in pochi secondi a lungo andare non rendono giustizia al brano.
Ecco quindi che parlare oggi di Daniel Gazzoli è un piacere, e per chi vi scrive anche una gradita scoperta. Si, un piacere perché nel disco “Night Hunter” si celano emozioni che variano di stile e di intensità. La tecnica è a favore della composizione e il tutto fa guadagnare  in freschezza. Probabilmente anche il gusto per un certo tipo di AOR che rende l’ascolto più semplice e ruffiano, sarà perché la base Blues si sente, ma nei nove brani che compongono l’album non c’è mai da annoiarsi.
In questo progetto personale, Gazzoli si avvale di validi musicisti come Leonardo F. Guillan (voce), Luke Ferraresi (batteria) e Luca Zannoni (tastiere).
I brani si aggirano tutti attorno ai cinque minuti, ad iniziare dalla title track “Night Hunter” e la voce di Guillan sale subito in cattedra. Reminiscenze Queensryche e molti anni ’80 in questa sorta di macchina del tempo. Segue l’Hard Rock di “Forged By The Pain” e l’AOR di “Liar” brano denso di déjà vu, ma proprio per questo efficacie e da cantare. Odore di Aerosmith in “Self Destruction Blues” mentre cresce l’enfasi con “Heartblame”, refrain godibilissimo e un nuovo tuffo nel passato. Sale il ritmo e l’epicità con “Run”. Si tira il fiato con la ballata “Prayer For An Angel”, voce e piano iniziano e colpiscono nell’animo, in un crescendo sempre di facile riuscita, specie nel momento del solo di chitarra. “Dont Leave Me Alone” è un altro frangente AOR godibilissimo e a chiudere “The Beat Of My Heart”, un mix fra Saxon ed Iron Maiden per intenderci.
Il disco scorre piacevolmente e questo si sa è sinonimo di buona riuscita.
Complimenti a Daniel Gazzoli e alla sua band, sono sicuro che questo disco girerà spesso nello stereo della mia macchina perché questo Rock è anche stradaiolo, compagnia da viaggio per rimanere piacevolmente svegli e pimpanti. Dategli una possibilità. MS